Abbiamo lasciato i Metronomy sulla “English Riviera”, paladini del pop intelligente, così si dice, nominati per il prestigioso Mercury Prize 2011 (vinse PJ Harvey, qualcuno vuole fare reclami?), stilisticamente compatti su una linea musicale catchy e raffinata alla stesso tempo. Abbiamo pensato “ci siamo, è l’ultima fase della metamorfosi, ed è quella buona”. Ma la stabilità  non è roba da Joseph Mount, mente creatrice della band, e allora i Metronomy rimescolano le carte e registrano in analogico ai Toe Rag Studios di Hackney (vedi sotto la voce: grandi nomi del brit-pop/rock) un album multiforme e camaleontico. Lo chiamano “Love Letters”, retrò già  dal titolo; ci mettono un po’ di questo e un po’ di quello, in una rivisitazione della storia musicale che fa pensare all’irriverenza di disegnare i baffi alla Gioconda più che a un recupero dei modelli di riferimento: pur senza mai perdere la loro specifica identità , diventano Motown anni ’60 nel singolo “Love Letters”, il jingle di un videogame anni ’90 nell’intro di “Reservoir”, la suoneria monofonica dei primi cellulari in apertura di “Monstrous”, l’electro-pop anni ’80 dei Kraftwerk e di Giorgio Moroder in “Boy Racers” (so f***in’ groovy! commentano su youtube).

Non so se sia giusto considerare queste “Love Letters” una svolta più intima e confessionale da parte di Mount, come è stato detto. Quando in “I’m Aquarius” si parla di un amore concluso perchè “tesoro, è meglio lasciarsi, tu sei Toro, io sono Acquario”, quando in “Monstrous” alterna Hold your hair back if you feel unwell, do you? (quindi tieniti i capelli, se devi vomitare) e hold on tight to everything you love, quando intitola una canzone “The Most Immaculate Haircut”, ho l’impressione che il sentimentalismo di “Love Letters” non sia un tributo ammiccante ai cuori spezzati, ma ne sia una parodia. Forse la chiave è in “Month of Sundays”: say I’m cheapening your love, e chissà  che Mount non lo stia facendo in tutto l’album con le sfumature isteriche del suo falsetto.

Del resto, mi viene in mente che il testo più vicino a una lettera d’amore che abbia mai scritto non cominciava con “Caro …”, non finiva con “sempre tua” ed era un’email di insulti. Però “tutte le lettere sono lettere d’amore”, mi dice spesso una mia amica ““ in realtà  la frase è di Jeffrey Eugenides ““ e io non ho mai capito se crederci, ma si applica perfettamente all’ambiguità  di “Love Letters” e, per ora, lo daremo per vero.