Un bel ritorno quello degli Human Colonies che dopo “Big Domino Vortex”, “Midnight Screamer” e la raccolta “Cloudchaser and Old Songs” che recuperava il loro primo EP con nuovi e più completi arrangiamenti, regalano sette brani che partono da solide radici post – rock per approdare a shoegaze e noise tra chitarre distorte e melodie rarefatte in un gioco di note e sguardi.

Credit: Angelica Scaroni

Titolo ispirato all’arte tradizionale giapponese del Kintsukuroi, ovvero la riparazione di ceramiche rotte per mezzo di lacca dorata, art work opera di Zannunzio che volutamente richiama le sculture di Daniel Arsham con lettere maiuscole intagliate nel gesso e immerse in acqua tutto giocato sulla tridimensionalità e i toni del bianco / grigio, forme minimali e pulitissime.

 Giuseppe Mazzoni, Sara Telesca, Andrea Guardabascio, Pietro Bonaiti sanno come costruire canzoni di grande atmosfera, ricche di sfumature e crescendo armonici in un mix di rumore e quiete che fin dalle prime note di “Glimpse” punta molto sulla dinamica tra la voce di Mazzoni e quella di Telesca, una costante dell’intero album.

Grintosa e vibrante la title track, ritmata “WAWWA” ispirata alla serie “We Are Who We Are” di Luca Guadagnino e trascinata dalla batteria e da chitarre riverberate e intense, mentre il singolo “AIR 909″ fa buon uso di una drum machine Roland 909 per creare una sensazione di urgenza e pericolo stemperata dalle dolci e ariose melodie di “Relocate”. C’è spazio anche per l’esplosività di “Crushing Indigo” che ha il piglio delle jam migliori prima di “Quite Clean”, chiusura misteriosa e elegante di un album che regala emozioni.