Se è vero che anche l’occhio ““ vuole la sua giusta parte – bè la foto di copertina regala una bella immagine di lei. E questa lei è Caterina Barbieri in arte Missincat, artista milanese ““ ora berlinese d’adozione – che ritorna sulle scene con Wirewalker, forse il disco (terzo) della trasformazione come forse il lavoro di una leggera staticità  espressiva; il suo è un pop folk dalle scremature dream, da sottobosco onirico, tenero e delicato, una ovattata fila di ballatine galleggianti che poi piacciono ma che corrono il pericolo serio ““ da parte di un orecchio frettoloso – di rimanere “rallentate nel tutto uguale”, nella prevedibilità  a piatta calma.

Tuttavia Missincat rilascia belle canzoni, sembrano batuffoli di neve che rimangono sospesi in aria e che da lì si raccontano regalando visioni e intimità  dolcissime dentro un’atmosfera costantemente invernale, una tracklist percorsa da una voce “gattina”, sofisticata e vellutata che gioca con melodie quasi nordiche, che si disegnano come una fiatata raggelata su di un vetro. Dieci tracce apparentemente fragili ma che nascondono una caratterialità  ben definita, una strategia soffice che si fa sogno e risveglio in contemporanea.

Impalpabile “All I needed”, il bisbiglio “Bitter”, un cuore delicato palpitante “Wolf in a sheepskin”, “Daylight” o l’onda di un walzer solitario “Wirewalker”, questi i picchi di un album che ““ sebbene il sebbene ““ è bello.