Ruvide mani scaldano il mio corpo morente, strappato al freddo mare azzurro.
Mi stanno riportando a remi verso il villaggio.
è tiepido il loro respiro sulle mie labbra violacee.
Sto morendo al ritmo dei remi che affondano nell’acqua.
Se braccia forti come queste mi avessero abbracciato nella vita
.

Comincia così il film di Derek Jarman su Michelangelo Merisi detto il Caravaggio (interpretato da Nigel Terry), dalle sue ultime parole, sospirate in esilio a Porto Ercole.
In quel limbo che costituì l’ultimo atto di una vita intensa, che non gli aveva mai lasciato il tempo di riflettere sul peso della propria esistenza in “chiaro e scuro”.

Intriso di poesia e di una superba attenzione stilistica, Jarman ripercorre le tappe cruciali della vita del pittore affrescando dei panelli minimalisti ma efficaci nel ritrarre: dapprima l’ adolescenza randagia, di effigie quasi pasoliniana; conseguentemente concentrandosi sul periodo della maturità  pittorica, sotto la coltre del mecenatismo papale ed infine sulla relazione (fatale) a tre, instaurata con Ranuccio (Sean Bean) e Lena (Tilda Swinton).
Quanto ci sia dell’estetica di Caravaggio nell’opera di Jarman è difficile da dire o meglio da quantificare; le inquadrature prendono vita solo col beneficio del movimento della camera da presa, tanto che con l’ingrandimento di ogni fermo immagine si potrebbero riempire intere gallerie d’arte.
Riserva esclusiva del regista, al quarto film della carriera; è invece l’ incredibile maestria con cui, nonostante una produzione low-budget (475.000 sterline fornite dal British Film Institute e da Channel 4) riesca ad orchestrare e a mantenere inossidati i tratti caratteristici della sua eccellenza registica realizzando un vero e proprio capolavoro.

Corroborato da interpretazioni attoriali di altissimo livello (Nigel Terry su tutti) traspare infatti tutto il suo stile; assimilabile alla “pop art” nell’ anacronistica contestualizzazione della storia, al lirismo e alla teatralità  nella messa in scena nonchè la sensualità  affamata dei personaggi perennemente infedele a qualsiasi tipo di ortodossia di costume.
Jarman si dichiarò frustrato dalla formalità  della produzione in 35mm, dalla dipendenza istituzionale e dalla prolungata inattività  che ne risultava (che gli era costata sette anni per Caravaggio) e che gli aveva fatto abbandonare altri progetti a lungo termine.
Prima di morire prematuramente di Aids nel 1994, ci lasciò un’altro paio di film degni di nota tra cui “The Last of England”, con cui veniva raccontata la fine dell’Inghilterra, distrutta dal suo decadimento interno e dalla ristrutturazione economica operata dalla Thatcher; e Blue il suo testamento filmico.
Artista visionario e di una coerenza struggente, Derek Jarman potrebbe essere rappresentato dalle parole di Dedalus (il protagonista di “Ritratto dell’artista da giovane di James Joyce“) il quale dice:
Tenterò di esprimere me stesso in qualche modo di vita o di arte, quanto più potrò liberamente e integralmente, adoperando per difendermi le sole armi che mi concedo di usare: il silenzio, l’esilio e l’astuzia”.


Wide Screen: come in pittura si definiscono colori primari quelli che non si possono ottenere dalla commistione di altri colori, ma dalla cui combinazionesi può ricavare ogni altro colore; in questa rubrica parleremo di film unici e fondamentali, che costituiscono la matrice perduta della settima arte.