E’ sempre stata enigmatica Karin Dreijer, ex voce dei The Knife che quando balla da sola, senza il fratello Olof, adotta il moniker Fever Ray. Sul palco spesso si nasconde dietro il trucco o maschere gotiche, teatrali, come una sacerdotessa svedese impegnata in strani rituali. Il progetto Fever Ray lo avevamo perso di vista nel 2009 dopo un bell’album (“Fever Ray”) che è stato ampiamente saccheggiato da film e serie tv (“Breaking Bad”, “Bones”, “Black Sails”, “The Following” tra gli altri). Non è semplice tornare in pista dopo otto anni (e a quattro da “Shaking The Habitual” ultimo lavoro dei The Knife). Karin Dreijer ha deciso di farlo a sorpresa con una serie di annunci criptici sui social, pubblicando “Plunge” a fine ottobre solo in formato digitale (per quello fisico bisognerà  aspettare febbraio).

Un album complesso, diviso tra tante anime musicali che scorrono e s’incontrano come le linee nere che adornano la faccia di Karin in copertina (formando la parola Fever). Parla di sesso e di desiderio, di relazioni che finiscono Fever Ray. Lo fa in modo spesso estremo, a volte inquietante (il video un po’ splatter di “To The Moon And Back”, “An Itch”, le voci distorte e discordanti che popolano “This Country” e “Wanna Sip”) tra ritmi martellanti, tribali, dance, techno, witch house (“A Part Of Us” ricorda quei Röyksopp con cui Karin Dreijer ha collaborato in passato). “Plunge” è stato prodotto da Paula Temple, NàDIA, Tami T, Deena Abdelwahed, Johannes Berglunde e Peder Mannerfelt che già  si era occupato di “Fever Ray”, ma i due dischi non potrebbero essere più diversi. “Fever Ray” era più spoglio nei suoni e nelle sensazioni, quasi minimalista soprattutto se confrontato con alcuni album dei The Knife (“Deep Cuts”e “Silent Shout”in particolare). “Plunge” invece vive di eccessi, come se Karin avesse scelto di non seguire regole nè consigli.

Anarchico, caotico e orgogliosamente queer, il secondo album di Fever Ray convince soprattutto nei momenti più soft e intensi (“Mustn’t Hurry”, “Red Trails” col violino di Sara Parkman, “Mama’s Hand”). “It used to bother me that violence is as intimate as love but I see that you have resolved that problem by dissolving the two into each other” scriveva tempo fa Karin Dreijer sul suo sito e la chiave per capire “Plunge” è tutta qui. Non cerca risposte semplici Fever Ray, non vuole rassicurare o confortare chi ascolta. La ritroviamo meno misteriosa del solito, in un disco che sembra creato apposta per dividere, spiazzare. L’ennesima evoluzione di un’artista fuori dal comune.

Photo Credit: Karolina Pajak