Abbiamo parlato con Luca D’Aversa per farci raccontare del suo disco Fuori, secondo lavoro della sua ancora breve carriera. Fuori è uscito da qualche settimana per DIY Italia ed è capace di mescolare la vena cantautorale classica italiana con suoni freschi e nuovi.

Abbiamo fatto una chiacchierata con lui per scoprire cosa ha racchiuso in questa scatola musicale magica piena di idee e testi meravigliosi.

Ciao Luca, allora la prima domanda è legata al tuo nuovo disco. Il secondo album è sempre più difficile del primo?
Secondo me è una questione di pensiero, il secondo album è molto più pensato, ragionato.

Nel primo album avevo messo tutto quello che avevo fatto e raccolto fino a quel momento. Fuori invece è stato registrato in un tempo più ristretto e quindi sono d’accordo con Caparezza: “Il secondo album è quello più difficile”. Ma sarà  progressivamente sempre così.
Ogni disco avrà  il suo tempo e i suoi momenti difficili.

Per quanto riguarda I tempi con cui si scrive un album, è stato pesante fare le cose con tempistiche diverse al solito?
Fortunatamente non ho avuto alcuna pressione, anzi ero io quello che pressava per far uscire il lavoro. Nel mio studio di registrazione ho avuto la possibilità  di lavorare bene e tranquillamente. L’etichetta Do It Yourself ora mi sta aiutando alla grande e lo sta facendo dal momento in cui avevo il disco pronto. è stato importantissimo per me, anche per la mia tranquillità , lavorare sempre con persone e musicisti eccellenti.

Ti riconosci nella frase: “I giorni in cui sto scrivendo sono giorni di immagini ferocemente martellanti nella testa”. Tu come vedi i tuoi pezzi e li immagini?
Io ho un momento di ispirazione, riesco a sentirmi in connessione con qualcosa che mi rende tutto molto chiaro. Quando scrivo sento la chiarezza. Non riesco a vedere i testi come chiodi fissi nei testi, magari mi capita di avere in giro per la testa per settimane e settimane un giro di chitarra o una melodia.

Che ruolo hanno le canzoni in relazione alle contraddizioni? Ai cantautori tocca fare o rispondere a delle domande?
Io mi sento atipico, ho un assoluto e totale rispetto della canzone d’autore italiana e quindi anche del ruolo del cantautore. Non riesco pienamente quindi a definirmi tale.

Le canzoni credo che non devono mettere in cattedra i cantautori, personalmente mi limito a scattare una foto di quello che sento e vedo e che tutti possono leggere a proprio modo. Io mi pongo domande e non rispondo, non ho ancora questa capacità . Pochissimi forse sono riusciti a fare e rispondere contemporaneamente a delle domande con delle canzoni.

 I testi dei tuoi brani vanno apprezzati integralmente, non hanno una semplice attitudine aforistica. Personalmente ti ritieni un cantore delle piccole o delle grandi cose?
Io mi sento un artista che racconta le piccole cose, la specificità  delle cose che mi capitano. Racconto il mio orto e quello che mi accade senza pensare al macro, vedo tutto al microscopio.
I grandi sentimenti sono semplicemente riflessi in questo microcosmo di storie da cui attingo.

Un artista credo che deve essere un pochino come una spugna che cerca di prendere il meglio dalla realtà , quindi cosa ti ha ispirato nella scrittura di Fuori?
Io prendo sempre tanto dalla musica che ascolto, anche delle idee per le produzioni, successivamente cerco di trasmettere tutto questo ai musicisti e alla produzione, sia tecnicamente che emotivamente.
La mia impronta è basata ai miei ascolti quotidiani. Nel periodo di registrazione di Fuori ero completamente fissato su un disco pazzesco: “Sound and Colors”, degli Alabama Shakes.

Ho ascoltato tantissimo anche Beck e un disco prodotto da Lynch: Dark Night of the Soul di Danger Mouse e Sparklehorse.