Dover scegliere soli dieci pezzi tra quelli compresi nella nutrita produzione musicale della band della mia vita mi pone un po’ nella stessa situazione del famoso asino di Buridano, il quale dovendo decidere tra un secchio d’acqua e uno d’avena morì di stenti, perchè incapace di fare una scelta in tempi rapidi.
Come porsi di fonte ad un dilemma simile? Una delle possibili soluzioni consiste nel tornare ragazzi e cercare di mettere insieme una specie di best of, un bel cd per la macchina o, ancora meglio, una cassetta da regalare a qualcuno a cui si tiene veramente per introdurlo, nelle maniera migliore possibile, alla musica del gruppo del cuore.
I National hanno pubblicato sette album e due EP, ora tralasciando l’omonimo album d’esordio (da considerarsi un po’ come i Radiohead e i fans degli stessi considerano “Pablo Honey”, ossia un discreto atto di presenza e nulla più) e le cover e le demo del “Virginia ep”, i pezzi da prendere in esame sono circa ottanta: pochi se confrontati con il canzoniere di tante altre band di culto, molti se consideriamo che la fanbase dei National ama alla follia la stragrande maggioranza di essi, questo perchè se c’è una cosa che Matt Berninger e soci non hanno mai saputo fare è proprio infarcire di riempitivi album costruiti intorno a tre/quattro singoli come spesso fanno molte altre band.
Perciò, a differenza del povero asinello di cui sopra ho deciso di fare le mie scelte(in ordine puramente cronologico), perchè mi piace vivere e perchè se passassi a miglior vita poi mi perderei il prossimo album dei National, buona lettura!

10 ““ GUILTY PARTY

2017, da “Sleep well beast”

In molti hanno parlato di “Sleep well beast” come di un album “Carincentrico”, per la rilevanza che il rapporto tra Matt Berninger e sua moglie Carin ha nei testi dell’album, tanto che un brano porta esplicitamente il suo nome (“Carin at the liquor store”). La signora Berninger non è solo vittima del Matt-Reality messo in musica per l’occasione ma ne è anche complice, in quanto coautrice di alcuni brani. Qualcuno ha definito la musica dei National “Another un-innocent elegant fall into the un-magnificent lives of adults”, e questa “Gulty party” rappresenta una delle massime espressioni di questo concetto.

9 – PINK RABBITS

2013, da “Trouble will find me”

“Pink rabbits” nel giro di pochissimo tempo è diventato uno dei brani in assoluto più amati dai fans dei National, qui però non siamo al cospetto dell’ennesima crisi di coppia o di una delusione amorosa come in altri brani dei nostri, bensì di fronte al ritorno di una vecchia fiamma, con tutti i dubbi che questa situazione può ingenerare in chi ha sofferto per un abbandono. Pezzo languido e sensuale, inebriante come il cocktail da cui prende il nome, “Pink rabbits” è un brano elegante che attesta ulteriormente la classe e la qualità  della scrittura di Matt Berninger.

8 – DON’T SWALLOW THE CAP

2013, da “Trouble will find me”

E se vuoi sentirmi piangere suona Let it be o Nevermind” canta disperato Matt Berninger: tutte le certezze vengono meno, la paura è quella di lasciarsi andare e perdere tutto, di fare una fine stupida come Tennessee Williams (morto soffocato ingoiando il tappo di una bottiglietta). Berninger è un uomo diviso in due tra gli affetti famigliari e il peso della vita da rockstar, costantemente subissato da dubbi che generano un incessante turbinio di idee in contrasto tra loro, le quali, fortunatamente per noi, generano brani come questo.

7 – VANDERLYLE CRYBABY GEEKS

2010, da “High violet”

Un live dei National è un vero e proprio rito con delle regole ferree, una di queste consiste nel sentito commiato elargito al proprio pubblico attraverso questo pezzo, eseguito a cappella da tutti i presenti con il solo accompagnamento di una chitarra acustica: ed allora sì che potremo lasciare casa, cambiare nome, appenderci ai lampadari e suicidarci per amore, come tutti i migliori di noi.

6 – TERRIBLE LOVE

2010, da “High violet”

L’amore può essere terribile e cammina al tuo fianco con lunghe zampe di ragno, tesse la sua tela tutto intorno a te e rende il sonno impossibile, ti tormenta, ti mette di fronte ai tuoi limiti, ti spaventa, ma non puoi farne a meno, nonostante tutto.

5 – SLOW SHOW

2007, da “Boxer”

Sai che ti ho sognata per ventinove anni prima di vederti” canta nel finale di questo brano Matt Berninger prendendo in prestito un verso di “29 years”, pezzo tratto dall’omonimo album d’esordio. L’amore sognato in “Lucky you” si trasforma in realtà , ma il protagonista si trova ad affrontare tutta la sua inadeguatezza, incapace di trovare un centro d’equilibrio tra le pulsioni giovanili e gli obblighi derivanti dall’essere adulti.

4 – FAKE EMPIRE

2007, da “Boxer”

La seconda vita dei National inizia con questo brano, “Fake Empire” è la canzone che finalmente svela al mondo la loro grandezza, anticipando “Boxer” e cantando di quel falso impero che di lì a poco si sarebbe sbriciolato sotto i colpi della crisi economica più drammatica della storia degli stati uniti dopo quella del millenovecentotrentotto.

3 – MR NOVEMBER

2005, da “Alligator”

Chi ha visto i National dal vivo sa cosa accade quando Matt Berninger comincia a cantare questo pezzo, conosce l’energia che viene scaturita dall’urlo primordiale e disperato del lungagnone dell’ Ohio, sa benissimo anche che lui si butterà  tra il pubblico e che sarà  abbracciato e strattonato da tutti i presenti. Per chi invece non li ha mai visti in concerto ci sono i video su YouTube, ma credetemi, non è la stessa cosa.

2 – ABOUT TODAY

2004, da “Cherry Three Ep”

Alzi la mano chi di voi non si è mai chiesto come mai un pezzo straordinario come “About today” non sia stato inserito in uno degli album veri e propri dei National, un’ esclusione questa inspiegabile per molti, me per primo. Fortunatamente questo non ha precluso la sua ampia diffusione, e ad oggi “About today” è forse l’unico brano proposto dal vivo tra quelli risalenti al periodo pre- “Alligator”.
PS: Per chi non lo avesse fatto: provate a guardare il finale del film “Warrior” di Gavin O’ Connor e a non versare una lacrima quando parte questo brano.

1 – LUCKY YOU

2003, da “Sad songs for dirty lovers”

“Lucky you” chiude un album dal titolo esplicitamente rappresentativo come “Sad songs for dirty lovers”, un lavoro in cui l’amore e i rapporti umani vengono passati al setaccio dello sguardo disilluso di Matt Berniger e descritti in maniera spesso problematica. A riportare un po’ di luce e speranza è questa struggente dichiarazione d’amore, forse uno dei migliori apocrifi Coheniani di sempre, in cui il protagonista riesce a strapparci anche un sorriso quando chiede all’oggetto del suo desiderio se non si sente fortunato ad essere considerato tale.