Torniamo ancora una volta con molto piacere a Soliera per l’Arti Vive Festival, dopo il meraviglioso concerto di Kevin Morby della scorsa estate: quest’anno, all’interno della bella cornice di piazza Lusvardi, si esibiranno, tra gli altri, John Cale, Motta, Her Skin e oggi, nella serata gratuita, Gazebo Penguins e Protomartyr.

Il gruppo correggese è ormai arrivato al termine del suo tour a supporto del suo album più recente, “Nebbia”, uscito lo scorso anno per To Lose La Track: quella di stasera è una specie di celebrazione e quasi un homecoming gig, vista la breve distanza tra i due paesi emiliani: l’impatto, in una piazza che si sta incominciando a riempire sempre più, è comunque forte e le loro canzoni non ci fanno solo saltare e ballare, ma sono capaci di regalarci forti emozioni.

E’ la terza volta che, chi scrive, vede i Protomartyr nei loro tour a supporto del recente “Relatives In Descent”, uscito lo scorso anno via Domino Recording Company: la band di Detroit, però, nel frattempo ha pubblicato da pochi giorni anche un nuovo EP, “Consolation”, ricco di collaborazioni importanti, tra cui quella con Kelley Deal delle Breeders.

La piazza è piuttosto piena, quando, alle dieci e mezza precise, il gruppo del Michigan sale sul grande palco modenese: cupa, intensa, “My Children” mette i primi brividi ai presenti, con la dura voce di Joe Casey che, come al solito, non molla di un centimetro e si fa rispettare senza paura alcuna.

Non ci facciamo certo sorprendere, poco dopo, da “Don’t Go To Anacita”, che pur con un ritornello decisamente melodico, forse anche troppo per gli standard dei Protomartyr, non ci pensa un attimo a dare una spazzolata a chi si trova nelle prime file.

Ruvida, cupa, incazzata, ecco la bomba “Up The Tower”, l’unica vera canzone dichiaratamente contro il presidente Trump nell’ultimo album (anche le altre lo sono, a dire il vero, ma questa lo fa in maniera assolutamente esplicita e aperta): il frontman che grida con tutta la rabbia possibile “Throw Him Out”, lancia un messaggio pesante come il basso che ci porta duro verso l’esplosione e la cattiveria di Casey.

E se “Male Plague” ci sembra più melodica e meno pesante rispetto alla sua versione del disco, la vecchia “The Devil In His Youth”, con una deliziosa chitarra jangly, ha un non so che di inaspettato e di pop.

“A Private Understanding” crea una sensazione strana, la tensione inizia a salire, intanto che il frontman grida le parole dentro al microfono, mentre “Why Does It Shakes” e “Scum, Rise”, chiudono il set chiudono il concerto con grande furia e adrenalina: ancora una volta Protomartyr, se mai ce ne fosse stato bisogno, hanno dimostrato quanta solidità , energia, qualità  e potenza sanno regalare con i loro live-show.

Per l’Arti Vive Festival, giunto ormai alla sua dodicesima edizione, un inizio assolutamente positivo e da ricordare.