La partenza per scrivere questa recensione ce la succerisce lo stesso Tim Arnold, quando, nei ringraziamenti dell’album, scrive “I needed to make this album“. Tim Arnold non ha mai scritto per compiacere ipotetici committenti, ha sempre scritto per sè stesso, per superare traumi, per esorcizzare i suoi demoni o per dare forza alle sue idee e alle sue necessità . Anche questa volta lo fa, con il diciottesimo album di una carriera che pare davvero non avere mai fine, sopratutto quando la sensibilità  melodica e pop del nostro non accenna a diminuire, ma anzi, si rafforza disco dopo disco.

“You Are For Me” esce a solo un anno di distanza da “I Am for You” e, fin dal titolo, si percepisce una sorta di continuità , come se dall’aspetto e dalla ricerca personale dell’album precedente si fosse passati all’analisi della persona che ci sta accanto, tra dubbi, romanticismo, delusioni, speranze, moti d’orgoglio, sincerità , ripicche e quella voglia innata di credere che tutto potrà  aggiustarsi anche nei momenti difficili.

Il disco è stato scritto e registrato in vari luoghi in un arco di tempo di cinque mesi circa: da Londra a Los Angeles, passando per Malaga e Toronto e questo pellegrinaggio personale di Tim è diventato anche pellegrinaggio in musica, con una varietà  di soluzioni sonore davvero rilevante, capace di stupirci e di mantenere alta la nostra attenzione in tutti i dieci brani. Tim mette in campo tutta la sua cultura musicale e, nei testi, dimostra di essere davvero “una spugna” che assorbe ogni realtà  che lo circonda (non mancano addirittura riferimenti all’Italia, sicuramente emersi grazie al breve soggiorno fatto nel nostro paese, l’estate scorsa) e questo gli permette di avere, ai nostri occhi, la massima credibilità , sia quando ci commuove nella ballata al piano “A Page In Your Parade” che chiude l’album, sia quando è gioiso e splendidamente pop (complice anche il campionamento di Vivaldi!) in “About You” posta in apertura.

In mezzo a questi due estremi, ecco alcuni passaggi in cui chi conosce la discografia di Tim Arnold si troverà  a suo agio, come l’andatura quasi da cabaret di “Two Of Her Favourite Things” o il tocco chitarristico con arrangiamenti classici di “Happy Though”, ma che piacere, ad esempio, sentire variazioni sul tema come il blues sintetico di “I’m An Open Book” (che si dimostra uno dei brani più avvincenti e stuzzicanti dell’intero lavoro), il gospel arrangiato in chiave pop (dal profumo quasi RnB) di “Hope Is Like The Sun” e l’andatura pimpante e dal sapore spiccatamente americano di “Sunshine Through The Rain”.

Tim Arnold non si ferma e, dopo così tanti dischi, dimostra ancora una vitalità  coinvolgente, frutto delle sue sue esperienze, certo, ma sopratutto della sua necessità  di usare la musica come aiuto fondamentale per rialzarsi dopo una caduta. Sembra proprio figlio di una delusione personale questo album, ma, quando leggi la frase finale sul libretto dei testi capisci che nulla è perduto, anzi, siamo solo all’inizio di una nuova avventura: “A dream you dream alone is only a dream, a dream you dream together is reality“.
Grazie per questa nuova magia Tim.