2017. Estate. Tim Arnold è mio ospite a Verona. Gli ho organizzato una data in un locale cittadino e ha sfruttato l’occasione per passare un po’ di giorni nel luogo in cui abito. Non vi dico la mia emozione: io fan dei Jocasta in gioventù ora mi trovo a ospitare uno dei miei “idoli”. Tim si rivela una persona adorabile. Un amico delizioso con cui chiacchierare, pieno di curiosità su tutto. Un vulcano di idee, un artista con la testa sempre in movimento, attento a ogni spunto a ogni suggerimento che, adeguatamente sviluppato, gli possa fornire materiale musicale da approfondire.

Credit: Iain G Reid

Nelle varie chiacchierate che ci facciamo si arriva anche a parlare del mio lavoro per la neuropsichiatria infantile e del mio interfacciarmi con adolescenti che si chiudono in casa, che rifiutano i contatti “umani” preferendo trincerarsi dietro a uno schermo, per favorire quelli virtuali, meno impegnativi e più rassicuranti, ma, nello stesso tempo, comunque vincolanti. Non potevo immaginare che quella conversazione avrebbe farto germogliare in Tim qualcosa: stavo piantando, metaforicamente, un piccolo seme per un nuovo album. Proprio li nasceva “Super Connected”.

Tutto questo ovviamente l’ho scoperto nel corso degli anni a venire, quando Tim mi ha raccontato della genesi e della lavorazione di questo disco. Che poi, chiamarlo solo disco è riduttivo. “Super Connected” è molto di più. Possiamo davvero parlare di progetto, visto che, mentre si sviluppavano delle canzoni, in realtà stava anche prendendo vita un film, un podcast, una serie di interviste, una “mini-serie” su YouTube, tutto incentrato sul mondo della “iper-connessione”.

6 anni dopo ecco che il percorso ha trovato finalmente il suo punto di arrivo. Tim Arnold, nel frattempo, non è stato certo con le mani in mano. A fianco di questo importante progetto ha portato avanti altre attività così come altra musica, ma “Super Connected” era sempre li, sempre nei suoi pensieri, perché prima o poi tutto doveva vedere la luce. E così è stato. Tim si è letteralmente tuffato in questo mondo dei social media, studiando e analizzando il fenomeno sotto tutti i punti di vista: la serie di interviste con svariati professionisti, medici e non, per approfondire il concetto sono molto ben fatte e il film è davvero molto intrigante e lasciatemi dire che, per suggestioni e spunti, non ha nulla da invidiare a certe puntate particolarmente ispirate di “Black Mirror”.

Ovviamente in questa sede ci soffermiamo sull’album, colonna sonora del film con il medesimo titolo.

Si potrebbe pensare che la mia recensione possa essere viziata dalla stima verso l’autore. Non cercherò di convincervi del contrario, però vi chiedo, almeno, di guardare la prospettiva per cui posso analizzare il disco al meglio, confrontandolo con i tanti precedenti album di Tim Arnold. Lo voglio dire chiaro e tondo, questa volta l’ex leader dei Jocasta si è superato. Un lavoro che è la summa, musicale, di tanti anni di carriera. In “Super Connected” Tim Arnold sviluppa al meglio influenze e percorsi del passato, con una scrittura rigogliosa e fluente che lo porta a realizzare alcuni dei suoi momenti migliori di sempre.

“Start With The Sound” è praticamente new-wave dal retrogusto barocco, con questi archi nella parte centrale. Un sound elettronico scarno e ipnotico che Tim rende caldo e avvolgente. La title track guarda con stima e devozione tanto a David Bowie quanto a Paul McCartney e sempre più ci pare che una vecchia volpe come Iggy Pop ci abbia visto giusto paragonando il buon Tim proprio al Duca Bianco. Emerge quel gusto teatrale che fa parte del DNA del musicista. Ma è solo l’inizio.

Andando avanti con l’ascolto è un guitar-pop suggestivo, elaborato e mai banale quello che ci cattura. L’artista spazia a 360°, si smarca da vincoli e paletti, si lascia trasportare dal suo istinto, dalle sue passioni, da quel gusto “onnivoro” che lo ha sempre contraddistinto. Quello che colpisce è la cura assoluta nelle melodie: non c’è brano che non funzioni, che non entri in testa. Tutto è amplificato. Quando Tim può essere “dolce”, beh, diventerà dolcissimo, e quando potrà graffiare, anche in questo caso, ci lascerà segni indelebili. “The Touch Of The Screen” è onirica e magica ninna nanna che potrebbe ricordare i Radiohead di “Ok Computer”, ancora arrangiata in modo splendido, e la successiva “Start A Conversation” è una delle ballate più belle e delicate mai uscite dalla sua penna. Una canzone di luci soffuse, di speranza, una canzone che sa regalarci calore e bellezza profonda, per non parlare di “Send More Light”, evocativa preghiera in musica scandidta dal piano e dai cori e una potenza che emerge nella voce di Tim, emozionante come non mai.

Ma che dire di “Where Am I In All Of This?” che trasuda primi Radiohead e Strangelove? Anni ’90 si, gli stessi che emergono prepotentemente anche da “The Complete Solution”, in cui l’anima rock e rabbiosa dei Jocasta sembra tornare a galla, mescolata con il lirismo dei primi Muse. Che botta ragazzi. Eccoli qui i graffi di cui parlavo prima e sono belli profondi, ve lo assicuro! E poi ecco il synth-pop minimale e incalzante di “Make Me Alright” che chiude alla perfezione il disco.

Ho detto tutto? No, assolutamente no, perché rischio di non citare “Everything Entertains” e sarei assolutamente pazzo se non la consideraasi in questa recensione. Il professore Tim Arnold ci porta a scuola di pop, scrivendo un brano che è la perfezione assoluta, con un ritornello che non ci si crede da tanto è bello e poi gli arrangiamenti, beh, qui Tim va a nozze. Lui che già nei Jocasta aveva dimostrato di non aver paura a “flirtare” con gli archi, ecco che qui, in questo brano, così come in tanti altri del disco, rivela (ancora una volta) di avere un gusto sopraffino per impreziosire al meglio il tutto.

In conclusione lasciate che mi sbilanci. Con un Tim Arnold così ispirato, anche alla luce di tutto il progetto che sta dietro a questo lavoro, beh, non ho alcunproblema a dire che “Super Connected” se la può giocare alla grande per essere uno dei miei album dell’anno. Complimenti ancora amico mio!