Da Julia Holter non sai mai cosa aspettarti, ogni sua uscita discografica è in grado di sorprendere, donando stupore, grazia e meraviglie assortite.

Il nuovo disco, “Aviary”, giunge quasi in chiusura d’anno ma si candida ““ non prepotentemente ma con la sola “forza” della sua Arte ““ in maniera del tutto naturale a figurare tra i migliori di questo frastagliato 2018 musicale.

Lei però, da sempre, viaggia per conto proprio, fregandosene di hype ed effimere mode, ben consapevole che la sua musica non è quella propriamente adattabile a passaggi radiofonici.

E’ infatti assai arduo ricercare in queste 15 tracce delle concessioni alla melodia più semplice e immediata. Le canzoni paiono al più destrutturate, lontane dagli archetipi pop strofa-bridge-ritornello, e anche la scelta degli arrangiamenti premia soluzioni inusuali, con strumenti e tonalità  in certi casi più vicini all’avanguardia pura da camera (penso alla coda finale di “I Shall Love 1”) o all’insita classicità  di un episodio come “Chaitius”, seguito in scaletta dall’evocativa e aulica “Voce Simul” dove la Holter si cimenta pure col latino!

Un album da ascoltare in cuffia, a volerne cogliere gli infiniti ceselli, i particolari sonori e vocali più nascosti, i suoni che improvvisamente emergono o che si fanno solamente cogliere in lontananza come misteriosi echi, quasi appartenessero a mondi lontani.

Non c’è un solo brano che non meriti considerazione, sembrano apparentemente slegati e disomogenei ma a tenere ben saldo il tutto, a farne rivendicare la familiarità  è proprio l’anima di Julia. In tal senso mi viene facile accostarla a Cat Power, altra cantautrice sui generis che nei suoi dischi ama spesso volteggiare e fluttuare libera.

Ecco, in questo disco Julia Holter va anche oltre, perchè il suo non è folk, non è elettronica e nè tanto meno pop. Ma qualcosa di originale, spiazzante ed estremamente affascinante. Tutto molto denso: il disco sfiora l’ora e mezza e le canzoni durano in media 6 minuti.

La sensazione mentre si ascoltano i brani è che da un momento all’altro qualcosa possa subentrare nel contesto e stravolgerne stile e atmosfera. Se il buon giorno si vede dal mattino, esemplificativa al riguardo è già  la traccia d’apertura, la rumorosa “Turn the Light On”, in cui la melodia è di fatto assente e la voce della Nostra fa capolino con piccoli bozzi di testo, sciamanica e declamatoria.

In “Whether” invece sono i beat elettronici a contornare un canto deciso ed eclettico. Anche in “Everyday Is an Emergency” la voce quasi scompare, la sentiamo in lontananza, sofferta e cupa, stretta e avvinghiata da una musica gelida, minacciosa e alla fine claustrofobica. In compenso la successiva “Another Dream” a tratti assume toni favolistici e il cerchio si chiude con la magnetica, sublime “I Shall Love 2” che precede in scaletta la già  citata “gemella” numero 1, differenziandosi però per umori e atmosfere.

Come detto, ogni episodio non lascia indifferenti, nessuno assurge al poco edificante ruolo di riempitivo (e in un disco così lungo non è poi così scontato);   meritano una citazione anche l’ondivaga e ritmica “Underneath the Moon”, dall’arrangiamento davvero bizzarro, una “Colligere” che rimanda a mondi antichi, coi suoi sublimi archi a disegnare trame e soprattutto la frizzante, accattivante e gioiosa “Les Jeux to You”.

Proprio quest’ultima è un esempio di come all’interno di un pezzo Julia Holter sappia cambiare repentinamente coordinate stilistiche, con la canzone che al culmine di un crescendo pirotecnico sfocia invece in un finale soave, dolce e riflessivo. A detta di chi scrive, il capolavoro del disco.

Non poteva mancare una ballata più classica, e per “Words I Heard”, la traccia più intimista del lotto, solo piano e violino e una voce stavolta in primo piano, di recente è uscito anche un video intimo, delicato e corredato da immagini bucoliche.

“Aviary” conferma ce ne fosse ancora bisogno l’estrema vitalità  della cantautrice losangelina: sono passati 7 anni dal suo folgorante esordio “Tragedy”, ma pur nella sua innegabile evoluzione, non ha smarrito alcunchè della sua genuinità  e della sua voglia di esplorare mondi sonori, anche azzardando alcune scelte.

A 34 anni Julia Holter è un’artista matura e con un talento che sgorga ancora libero dalle sue canzoni. L’auspicio è che non perda questa sua condizione di outsider e che continui a seguire i suoi istinti profondi.