Frank Carter sembra aver finalmente trovato la sua dimensione ideale. O quasi, almeno. I primi due album prodotti in compagnia dei Rattlesnakes ““ “Blossom” del 2015 e “Modern Ruin” del 2017 ““ sono stati una sorta di sfida rivolta a tutti coloro che, dopo la fuoriuscita dai Gallows nel 2011 e la mezza delusione del progetto Pure Love, avevano faticato a capire quale strada volesse effettivamente imboccare il tatuatissimo cantante britannico.

La band si è divertita a giocare timidamente con tutti gli elementi musicali presenti nel suo DNA ““ hardcore punk, indie rock, pop, blues e soul ““ prima di trovare il coraggio di fonderli assieme in maniera estremamente bilanciata nelle dodici tracce del nuovo “End Of Suffering”. Un disco compatto, dal vago retrogusto rètro e decisamente accattivante.

Carter e i suoi ““ Dean Richardson alle chitarre, Tom Barclay al basso e Gareth Grover alla batteria ““ cavalcano l’onda dell’alt rock più trendy e genuino con la speranza di trovare un piccolo spiraglio di luce tra le ombre ingombranti di pezzi da novanta quali Queens of the Stone Age, Royal Blood e Arctic Monkeys periodo “AM”. Ci riescono? Sì e no.

Dietro una produzione da dieci e lode, una grande attenzione agli arrangiamenti e una prova maiuscola di Carter al microfono, infatti, c’è molta, direi anche troppa maniera. Non è tanto la scarsa originalità  a indebolire i brani di “End Of Suffering”, ma la volontà  di tenere sempre, costantemente sotto controllo gli antichi bollenti spiriti. è rock, ma è un rock che non morde: brani quali “Heartbreaker”, “Kitty Sucker”, “Tyrant Lizard King” (l’assolo è di un certo Tom Morello, niente po’ po’ di meno) e “Latex Dream”, con le loro chitarre asciutte e compresse, potrebbero funzionare meglio come sottofondo agli acquisti in un magazzino H&M che non in un concerto.

Anche se, a onor del vero, bisogna ammettere che Frank Carter sorprende e conquista quando si mette alla prova con l’eleganza del blues e del soul nelle conturbanti “Why A Butterfly Can’t Love A Spider” e “Love Games”, nella soave “Anxiety” e nella piano ballad “End Of Suffering”, canzone simbolo dell’incredibile sviluppo artistico attraversato da questo ex scalmanato dell’hardcore punk più rabbioso e urlato.

Quello che resta, alla fine della giostra, è un album piacevole realizzato da una band che, non senza qualche difficoltà , sta per trovare la sua vera personalità .

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