è possibile realizzare un album vivace, intenso e pieno di belle melodie senza mettere in mostra uno straccio di idea originale? Stando ai Menzingers, certo che si può. Eccome, se si può. “Hello Exile”, la loro sesta fatica in studio, è un piccolo monumento alla grande tradizione indie rock statunitense. Quella in grado di unire l’energia del punk, il calore del folk e i toni più malinconici dell’heartland per dar vita a qualcosa di talmente grosso da non essere più relegabile agli stretti confini dell’underground.

Il quartetto originario di Scranton punta alle arene e non fa davvero nulla per nasconderlo. Le dodici tracce prodotte da Will Yip (già  al fianco di Mannequin Pussy e Quicksand) sono state costruite seguendo il modello vincente del college rock anni Novanta. Le chitarre, pur non invadendo mai gli spazi riservati al cantante Greg Barnett, ricoprono un ruolo assolutamente centrale nell’opera. Sono gli accordi pieni e caldi disegnati dalle sei corde di Tom May e dello stesso Barnett a fare da impalcatura a brani molto semplici ma solidi, ben strutturati sotto ogni punto di vista.

In bilico tra gli impulsi adolescenziali del pop punk e il richiamo dei classici del rock a stelle e strisce (Tom Petty e Bruce Springsteen in primis), i Menzingers inseguono il sogno della hit radiofonica spargendo qua e là  ritornelli memorabili e hook accattivanti. Questi ultimi si presentano quasi sempre sotto le spoglie di irresistibili cori da stadio: chissà  quanto riusciranno a coinvolgere il pubblico quelli dell’inno anti-trumpiano “America (You’re Freaking Me Out)”?   E chissà  ancora quanti si scateneranno in danze indemoniate, incalzati dallo sfrenato backbeat di “Strain Your Memory”?

Le canzoni di “Hello Exile” hanno tutti gli elementi necessari per funzionare alla perfezione nei live. Girano benissimo anche su disco, però: le sfumature agrodolci e nostalgiche di “High School Friend”, “Last To Know”, “I Can’t Stop Drinking” e “Farewell Youth” proiettano l’ascoltatore in una dimensione di intimità  che può essere apprezzata pienamente solo in solitudine. Prendetela come una buona occasione per concedervi un esilio dalle brutture della musica moderna e trovare un po’ di conforto tra le braccia del vecchio, caro indie rock di una volta. Un album reazionario, ma in maniera sana e genuina.