Il primo novembre scorso è uscito “New Age Norms 1”, il nuovo album dell’annunciata trilogia degli statunitensi Cold War Kids.

I ragazzi di Long Beach si sono voluti barcamenare in questo bramoso progetto con l’aiuto dello “storico” producer Lars Stalfors (The Neighbourhood, Electric Guest, Foster the People), confezionando un disco dal sapore disco-funk. E si, perchè chi segue le fatiche della band californiana dal lontano 2006 non ha potuto non accorgersi della nuova svolta pop oramai intrapresa. Già  con i precedenti lavori “Mine Is Yours” del 2011 e “Dear Miss Lonely hearts” del 2013 i ragazzi hanno iniziato ad abbandonare l’indie-rock per poi spostarsi, con   i successivi “Hold My Home” del 2014 e “L.A. Divine” del 2017, in ambienti decisamente più soul.

Diciamo subito che questa “innovazione” non deve per forza essere intesa negativamente, anzi. I ragazzi di Fullerton, comunque, sanno bene come portare a casa un buon lavoro. Il problema nasce, come sovente accade, nel momento in cui viene voglia di rispolverare i primi due album. Se, come me, avevate compromesso il laser del vostro lettore cd con il debutto rock-blues “Robbers & Cowards” e dopo “Loyalty To Loyalty” quel lettore era da buttare, allora il nuovo disco di Willett e soci vi farà  sentire decisamente fuori luogo.

Dopo questa lunga ed elaboriosa premessa, nella quale probabilmente molti di voi non si ritroveranno, direi che è giunto il momento di sviscerare le otto tracce contenute nell’album.

Il settimo disco della band è di sicuro un album allegro anticipato da “Waiting For Your Love”, singolo già  in rete da un po’,   il quale insieme a “4th of July” ricorda incredibilmente il sound dei connazionali Orson. Brani ad impatto diretto in perfetto stile easy listening, per intenderci.

Come traccia di apertura, la band di “We Use To Vacation” si affida al funk di “Complainer”, caratterizzata da un ritmo incalzante con un piano battente e il falsetto di Willet a far da contraltare.

Se “Dirt in my eyes” ci regala un beat grintoso contornato da voci di giubilo, la frenesia di “Fine Fine Fine” porta con se un sound orecchiabile e danzereccio che, in questo caso, ci riporta indietro nel tempo al pop di “Fosbury” dei francesi Tahiti 80.

Non mancano ovviamente i romantic moments come in “Calm Your Nerves”, ballata pop a metà  strada tra The Fray e Five For Fighting e, soprattutto, nel brano migliore dell’album, “Beyond the Pale”, nel quale la band si mette da parte per dare modo a Willet di fare sfoggio delle sue doti di vocalist su una base di semplici ma toccanti note di piano.

L’ intro triste e opaco di “Tricky Devil” prepara la svolta indie dell’album che però giunge alla sua conclusione dopo quasi mezz’ora, nella quale la band americana ha deciso di mettersi nuovamente in gioco cambiando, ancora una volta, le carte in tavola.

Il risultato al momento ci sembra sufficientemente riuscito per un terzo, in attesa di conoscere le altre due parti per procedere poi ad assemblare il tutto.