Dog in the Snow sono al secondo album, primo per Bella Union, e in questo loro nuovo lavoro la svolta dark è abbastanza evidente.

Helen Ganya Brown mente e corpo del progetto, musicista metà  tailandese e metà  scozzese, cresciuta a Singapore, e tornata a diciotto anni nel Regno Unito a Brighton stabilendovisi definitivamente,   non nega di aver avuto le maggiori influenze da artisti diversi ma del calibro di Brian Eno, Scott Walker, David Lynch,   Sufjan Stevens.

Nell’album ci si muove in un continuo sogno nero, come un po’ lei ha raccontato,”….Sogni in bianco e nero. Mi sono trovata in un paese dei sogni e ho scoperto che stava per essere distrutto. Ho scelto “Vanishing Lands” come titolo dell’album perchè suonava desolato e ho dato alle canzoni un senso di coesione“, ma contraddistinto da una ricerca melodica sempre presente come infatti appare evidente nei singoli che lo hanno anticipato .

Uno di questi è “Dual Terror ” teso e inquietante ma indubbiamente una hit …Harsh”…light,”…obscura By the bed”…and in my own arms I hold”…on to my double Great twin, great terror I’m sick of fearing everything Great twin, great terror I always glamourise the end…, mentre gli altri due brani sono “Roses”, giocata su poche note e su un video che esprime tramite figure incappucciate la disperazione di chi cerca un rifugio dopo la fuga,   e “Dark” che chiude l’album ed è l’unico momento positivo in cui si fa avanti la speranza di svegliarsi in un mondo migliore.

L’album ha quindi una  connotazione politica, la visione pessimista di un mondo decisamente in rovina nel quale l’umanità  e la comprensione sono passati in secondo piano e la previsione di un futuro decadente e oscuro si fa sempre più minacciosa.

Questo pessimismo sociale si   sviluppa per esempio in “Gold”, che descrive il fallimento della speranza come avvenne nel periodo della  ricerca dell’oro o in “Icaria”, che prende spunto dalla figura di à‰tienne Cabet, politico utopista del 1800 antesignano del comunismo, il quale sviluppò sulla base di alcune sue teorie la comunità  di Icaria, insediatasi sia in Francia che in America e basata su idee comuniste, nonostante un buon inizio con migliaia di seguaci durò circa 50 anni per poi fallire miseramente, e infine anche in “Fall Empire” dove si profetizza un futuro ancora una volta oscuro causato dall’ingordigia dell’uomo.

Un album nel quale la dimensione dell’incubo si va a fondere con le esperienze personali di ricerca della propria dimensione e identità  e con la preoccupazione di una realtà  quotidiana ormai fuori dal proprio controllo, creando un affresco oscuro e tutto sommato coerente.

Non so se ci troviamo di fronte a una nuova aspirante regina dark, ma il risultato finale è interessante e divertente, oscuro ma melodico e devo dire ben riuscito.

Credit Foto: Jay Bartlett