Il 12 agosto del 1996 gli Oasis sono “semplicemente” il gruppo più famoso del mondo, il più ascoltato, il più chiacchierato. Sono infatti reduci dal duplice concerto-evento di Knebworth – che ha visto accorrere nell’area individuata per lo spettacolo un totale di 250.000 persone – e praticamente nel Regno Unito al tempo una persona su cinque possedeva il disco dei record “(What’s the Story)Morning Glory?”.

L’anno successivo, quando uscì in pompa magna il seguito “Be Here Now”, atteso in maniera spasmodica e appena appena velato dalle sempre maggiori manie di grandezza dei fratellini Gallagher, i rivali Blur replicano con lo sperimentale album omonimo, quello della killer hit “Song2”, quanto di più lontano dai lustrini del britpop. I tempi della artificiosa (quanto avvincente di là  della Manica) “Battle of the Bands” sembrano ormai lontanissimi.

Eppure, da lì in poi qualcosa negli Oasis clamorosamente s’inceppa, d’altronde il motore ha sinora viaggiato sempre a mille all’ora, l’acceleratore era costantemente premuto e ogni tanto, si sa, occorre trattenere il respiro, dosarlo al meglio, fermarsi per guardare fuori dal finestrino, anche semplicemente per vedere l’effetto che fa, a stare in cima al mondo.

Si rischia, infine, di cadere, ed è proprio quello che capitò anche ai bad boys di Manchester, tra eccessi, droghe, magniloquenza, litigi sempre più frequenti, rapporti ingestibili e insanabili e, last but not least, con il terzo album si assiste anche a un (fisiologico finchè si vuole, ma non di meno evidente) calo di ispirazione, che produce un disco per certi aspetti ancora godibile e a un primo ascolto perfetto, nel suo essere pop rock specchio del proprio tempo, ma che ahimè finisce per sembrare la copia sbiadita del fratello maggiore, pubblicato tra gli onori due anni prima.

Conseguenza estrema di questo tritacarne è la fuoriuscita di due pezzi storici della band, assieme a Liam sin dai tempi in cui si facevano chiamare The Rain. Proprio così, Guigsy e Bonehead, basso e seconda chitarra del gruppo, non ce la fanno più a seguire le bizze dei due riconosciuti e antagonisti leader, nonchè fratelli, e gettano la spugna. Dopo il primo album era successo all’introverso batterista Tony McCarroll salutare la compagnia in grande ascesa,   non senza strascichi polemici (tradotto: fu cacciato senza tanti complimenti). Rimasero in pratica del gruppo delle origini solo i due bizzosi e talentuosi Gallagher, già  divenute icone di un’epoca, dei favolosi nineties.

Già , ma la musica? Reclutati i validi Gem e Andy Bell, nel 1999 è finalmente giunta l’ora di partorire un nuovo album. Sono entrambi validi musicisti, non certo alle prime armi e tecnicamente superiori a chi li ha preceduti ma mancherà  loro inevitabilmente per i primi tempi la giusta amalgama col resto del gruppo. In particolare Andy Bell aveva ottenuto una fama di culto come uomo simbolo dei Ride ma negli Oasis si capirà  ben presto che avrà  un ruolo marginale, al pari dell’altro neo-entrato, pur anch’esso valido negli Heavy Stereo e del batterista Andy White, in organico già  dal 1995.

In pratica si tratta di un lavoro mai come prima così Noel-centrico, seppur da sempre fosse lui la mente principale della band, The Chief, come amava farsi chiamare. Il fatto è che gli Oasis in questa fase sembrano proprio tenuti insieme tremendamente a fatica con un filo leggero, è questa la stagione più tribolata della loro storia e Noel sembra concedere ben poco all’improvvisazione altrui.

“Standing on the Shoulder of Giants”, che nel titolo finisce per parafrasare una citazione di Isaac Newton (scordandosi un plurale) sembra aver ben poco da spartire con i suoi illustri predecessori, lo si intuisce sin dal singolo apripista (di buon successo) “Go Let It Out”, dai suoni compressi e con un basso tonante a sostenere il tutto.

Al di là  delle roboanti dichiarazioni del suo autore Noel Gallagher (sintetizzando, qualcosa del tipo: “basta con i Beatles, ora siamo più Rolling Stones” – subito tra l’altro smentito dai fatti, chè dei Fab4 vi è traccia eccome tra i solchi di queste 10 nuove canzoni), è evidente una voglia di smarcarsi da etichette, da quel britpop melodico, trascinante, senza fronzoli e – verrebbe pure da aggiungere con un pizzico di cattiveria – disimpegnato, per proporre al suo posto un rock più introspettivo, oscuro e dai rimandi psichedelici (prova ne è la brillante “Who Feels Love?”, in cui si ascolta una delle migliori performances vocali di Liam).

Altrove c’è spazio anche per brani più sperimentali, poco usuali nel loro canzoniere, e anche qui bisogna ammettere come la mano di Noel fosse ancora “calda”: “Gas Panic!” è pura magia sonora, dilatata il giusto e non cede a facili ritornelli; l’apertura e la chiusura sono affidate a mo’ di manifesto alla lisergica “Fuckin’ In the Bushes” e a una “Roll It Over”   che sembra uscita da una jam di fine anni ’60.

Le canzoni più melodiche e facilmente riconducibili al “mondo Oasis” sono l’ode a James Kerr da parte di Liam (per la prima volta in veste di autore: al di là  del naturale trasporto emotivo bisogna rimandarlo a tempi migliori) dal titolo “Little James” e la classica ballata “Sunday Morning Call”, un po’ il bonus che il dispotico Noel si teneva da cantare per sè, dopo il clamoroso successo ottenuto alla sua prima da lead vocal all’epoca del capolavoro “Don’t Look Back In Anger”.

Peccato che il resto della scaletta non ci consegni null’altro di memorabile, e che il disco assuma così le sembianze di un lavoro “di transizione”, e perciò frammentario a livello di qualità .

A conti fatti fu un album altresì necessario per far tornare coi piedi per terra la band dopo le colossali sbornie del lustro precedente e per ridefinirne quegli equilibri che si erano dimostrati, a dispetto della grandezza di facciata, piuttosto fragili.

Oasis – Standing of the Shoulder of Giants
Pubblicazione: 28 Febbraio 2000
Tracce: 10
Durata: 46:41
Etichetta: Big Brother Recordings Ltd./Epic Records
Produttori: Noel Gallagher e Mark “Spike” Stent
Tracklist:

  • Fuckin’ In the Bushes
  • Go Let It Out
  • Who Feels Love?
  • Put Yer Money Where Yer Mouth Is
  • Little James
  • Gas Panic!
  • Where Did It All Go Wrong?
  • Sunday Morning Call
  • I Can See a Liar
  • Roll It Over