Lo scorso dicembre in extremis si era inserito prepotentemente il sophomore dei Greet Death “New Hell” sul podio della top ten di fine anno, un album che ancora oggi   metto su volentieri. Ecco, quest’estate, dopo aver ascoltato il singolo “Nest” dei californiani Iress ho pensato che probabilmente avrei dovuto fare spazio nella mia top di questo strambo (a dir poco) 2020 per inserirci quest’altra opera seconda.

Beh, dopo l’ascolto di “Flaw” sono rimasto letteralmente folgorato dalla eccezionale bellezza di questo album e, quindi, non solo entrerà  nella classifica dei migliori dischi dell’anno ma, forse, conquisterà  il podio. Vedremo cosa l’autunno ha in serbo per noi musicofili, ma ora è il tempo degli Iress e dei loro otto straordinari episodi di doomgaze che trattano della complessità  umana tra angoscia, dolore e perdita di fede.

I quasi trentacinque minuti di “Flaw” sono, a parere di chi scrive, tra i momenti più toccanti dell’intera stagione musicale in corso caratterizzati da una atmosfera pesante, lenta, cupa ma allo stesso tempo inebriante e confortante come è possibile percepirla ad esempio nella citata “Nest”, con la voce dalle tonalità  androgine della vocalist Michelle Malley che attrae e seduce senza possibilità  di opporsi.

Il quartetto di Los Angeles, che si completa con Alex Moreno (chitarra), Michael Maldonado (basso) e Glenn Chu (batteria), giunge alla sua seconda esperienza dopo “Prey” del 2015 votato più ad un alternative rock, grunge e, quindi, risulta sorprendente questa nuova svolta della band che si muove ora tra riff lunghi e prolungati propri del post-metal.

Il più grande pregio di questo disco è quello di far immergere l’ascoltatore molto gradualmente nel plumbeo mood dell’album e, infatti, compito dell’opener “Shamed” sembra essere proprio quello di dettare il filo conduttore con un intro impressionante che man mano scandisce i potenti riverberi accompagnati dall’altrettanto poderosa voce della frontwoman e con i due minuti finali inverosimili.

Il muro del suono con una corposa batteria si prende la scena anche nel primo singolo “Underneath” con le ammalianti urla eteree della Malley a rubare il finale fino a quando la successiva e bellissima “Dark Love” si concede a ritmi acustici più miti sorretti dal tormentato violoncello di Emily Elkin e Syd Everatt che ritroviamo pure in “Wolves” dove il sound si tinge di sonorità  di Smashing Pumpkins memoria, quelle di “Siamese Dream” per intenderci.

Inutile girarci intorno, le virtù vocali di Michelle Malley, che a volte ricordano quelle della nostra Cristina Scabbia dei Lacuna Coil, come nell’incalzante “Thieves”- attirano su di sè l’attenzione soprattutto nelle emozionanti note dei sette minuti da pelle d’oca della tenebrosa “Shallow”, la migliore del lotto probabilmente, mentre il sipario cala sul breve folk della malinconica traccia di chiusura “Hand Tremor”.