E’ uscito il 4 dicembre “Venti” il nuovo album di Giorgio Canali insieme ai suoi Rossofuoco.

Venti come le tracce, come quest’anno nefasto che è germoglio di questo disco, per venti e più atmosfere diverse, racconti e prospettive.

Registrato a distanza per la prima volta, tra Roma, Bologna e Miami, questo è un disco che suona rock in ogni suo declinazione, quel rock pieno e convincente, quasi d’altri tempi per la sua sincera policromia, e per la sua spontanea voglia di raccontare qualcosa, liberi da schemi e strutture moderne, per il puro gusto di farlo. Suonano e lo fanno senz’altro divertendosi, si sente, in ogni singola traccia, spaziando da intermezzi folk a all’intrecciarsi di synth, da pezzi lenti di trasporto, a brani amari e ritmati, nel testo e nel sound.

Un’alchimia nata dopo la fine dei CSI nel 1998 e che di disco in disco ha saputo cementarsi, che qui si presenta evidente, come perfetto esempio del fatto che si, ancora oggi, ha senso parlare di rock italiano. Quel rock che non si preoccupa di lunghezza delle tracce, di fruibilità  da tik tok e compagnia cantante perchè sicuro della propria forza comunicativa, ignorando i suoni digitali di basi in cassa dritta o voci in autotune. Un rock che pur nato nella lontananza e unito digitalmente, suona così vero da sembrare, in molti episodi dell’album, perfetto per esser gridato sotto il palco, durante uno dei concerti che tanto ci mancano. Ma da un artista come Canali c’era da aspettarselo, da uno che, sulle scena dalla fine degli anni ’70,ha saputo spaziare dal punk al prog fino a quest’ultimo progetto, definitivo approdo ad una scrittura praticamente cantautorale.

“Venti” è chiaro nei suoi intenti fin dalla prima traccia “Eravamo noi”, apripista immersiva retrospettiva, aperta da un crudo arpeggio di chitarra e con il procedere dei ricordi arricchita dall’incrociarsi di synth, in un crescendo continuo di pathos fino al solo malinconico di chitarra.

E’ un lungo racconto che si snoda tra le tracce, in cui spicca “Morire perchè”, singolo grintoso e diretto, figlio di quella forza comunicativa tipica delle canzoni che nascono dalla pancia, dal sentire che qualcosa non va e che bisogna dirlo chiaramente. Brano scandito dal basso quasi gutturale, che gioca con il charlie sull’arpeggio di chitarra circolaree, una sorta di marcia acida che esplode nel ritornello ispanico. Tra le ballad, “Wounded Knee” strizzando l’occhio a De Andrè, è tra le più malinconiche:

Vieni, ti porto a vedere il buio fantastico che è dentro il mio cuore
Ti porto a vedere danzare le ombre
Dall’ultima volta hanno imparato a ballare senza fare rumore
Se non ci arrestano prima
E per il nostro bene
Benzodiazepina

In conclusione “Venti”, sincero in ogni singola traccia, è un disco che sa intrappolare come in una fotografia pezzi del nostro presente e del nostro passato e lo fa gridando mentre canta la vita che sa essere sè stessa, nel suo bello e nel suo brutto.

Credit Foto: Roberta Capaldi