“Undici canzoni di merda con la pioggia dentro” (La Tempesta) potrebbe sembrare una ventata d’aria fresca, una boccata d’ossigeno nel rock italiano, al quale viene imputato un calo di brillantezza, di immediatezza e di non essere più quel mezzo di rottura, veicolo di trasmissione di una rivoluzione mai realmente avvenuta. Tuttavia, vere o meno le accuse, una ventata d’aria fresca è un sollievo, un qualcosa per cui rallegrarsi e compiacersi e Giorgio Canali non è tutto questo.

Il nuovo album d’inediti è (quasi) una disperazione. Una disperazione perchè pochi altri riescono a portare avanti il fardello del rock “impegnato” (poi ci torneremo) come lui. Una disperazione perchè in undici canzoni riesce a raccontare la realtà  con una poesia drammatica difficile da trovare (“E soffrirò del mio male minore, che il resto del mondo sta male davvero, e quasi mai per amore“, “Messaggi per Nessuno” o “Piove sugli inviati speciali, sulle riforme anticostituzionali, piove sui viali, sui cerimoniali, le bicamerali, sulle pari opportunità ” da “Piove, Finalmente Piove”). Una disperazione perchè sebbene lui, i compagni di CCCP e CSI abbiano sempre messo a disposizione la loro esperienza alle giovani leve, nessuno “ha ancora imparato che l’indisciplina è una forma perfetta di libertà ” (“Undici”) e non c’è nessuno che riesca a metterlo in secondo piano, a far dire «Dai Giorgio, il tuo l’hai fatto, lascia spazio ai giovani che hanno qualcosa da dire». Una disperazione perchè suonare il rock così, un po’ noise, un po’ arido (“L’aria fredda dal nord”, un ossimoro per chi scrive), pungente e mai ripetitivo fa venire rabbia (“Perle per porci”?).

Si è sempre messo in discussione, ha sempre fatto ciò che gli pareva, dall’album di cover ai concerti da solo ad ingresso (quasi) gratuito, “perchè oggi fare musica è un costo anche per i gestori, e in qualche modo il musicista deve andargli incontro”, parafrasando le parole di una sua intervista di qualche tempo fa. Giorgio Canali è un personaggio che o lo si ama o lo si odia, ma è indiscutibile il ruolo centrale che continua ad avere in quel rock che sembra atrofizzarsi da tempo, confinato in una nicchia o, peggio ancora, incarnato in forma di giudice in qualche talent, con il pubblico che fino a quel momento non sapeva nemmeno cosa fosse la parola rock (non che adesso ne sappia di più).

Crudo, sarcastico, spiazzante come sempre, lui stesso racconta un’altra versione di sè: «La gente pensa che io faccia denunce, mentre la mia è solo terapia. Non salgo sul palco come su una barricata, ma solo con l’idea che il contatto fra me e le persone sia soprattutto un’occasione per aprire il cuore reciprocamente»; l’impegno sociale e politico rimane vivo nella sua musica, sebbene dica che «Per alcuni dovrei mettermi a urlare “Chi non salta è Salvini!” e sarebbero contenti, ma il mio modo di fare la rivoluzione non è più quello », ma i versi raccontano tanta attualità : “E qui crescono più muri che fiori [“…] Gente con 4g e un’ignoranza da medioevo” (“Undici”) o “Mille scafisti, mille morti annegati, mille idioti bercianti coi calici alzati” (“Mille non più di mille”). L’album racconta del luogo in cui vive: “un’Emilia paracula che erige monumenti ai suoi figli più cari, piove merda su Pavarotti, piccioni melofobi e vendicatori, in quest’Emilia paralitica, farcita di fabbriche di plastica, di maiali insaccati da vivi e di gente che sempre mastica e non smette mai” (“Emilia Parallela”), ma che nel bene o nel male resta la sua casa: «Dopo quasi 20 anni a Ferrara ora sto a Correggio. Da un buco di culo DI provincia nella bassa padana a un buco di culo IN provincia nella bassa padana ».

Musicalmente “Undici canzoni di merda con la pioggia dentro” è un mix di brani aggressivi (“Mille non più di mille”), orecchiabili (“Undici”), malinconici (“Poi riderò di me perchè ho finito le lacrime, come sempre farò del mio peggio perchè è quello che ti aspetti da me“, “Messaggi a nessuno”), noise (“Radioattività “) che riflettono la personalità  dei  Rossofuoco  (Marco “Testadifuoco” Greco, Luca Martelli e Stewie Dalcol)  e di Giorgio Canali, con  il suo desiderio di non ripetersi mai.

Serve un album così, serve per mettersi negli occhi di uno che ne ha viste tante, che ha visto il cambiamento, che ha prodotto anche le nuove leve, come Vasco Brondi nel progetto Le Luci della Centrale Elettrica (da poco la notizia della fine del progetto) o i Verdena, politicamente sempre sul pezzo (come con il progetto con i Post-CSI, “Breviario Partigiano”) per rendersi conto di una realtà  ben diversa da quella cantata oggi. Una lieta disperazione, che serva ad accendere fuochi (“Fuochi Supplementari”).