Ai tempi dell’esordio dei Black Honey ““ non una vita fa: stiamo parlando del 2018 – furono in molti a sperticarsi nelle lodi dell’ennesima next big thing del rock britannico. I paragoni con altre band a trazione femminile si sprecarono: la critica, il più delle volte sbagliando, tirò fuori i nomi dei connazionali Lush, Echobelly, Sleeper ed Elastica.

In realtà  il quartetto di Brighton non sembra particolarmente interessato alle questioni di casa propria: gli occhi, ieri ma ancor di più oggi, erano e sono rivolti verso l’altra sponda dell’Atlantico. E le dieci tracce di “Written & Directed”, il loro secondo album, ce lo confermano con particolare forza.

In un certo senso, quindi, i Black Honey hanno un cuore “americano”. Nella loro musica è possibile individuare influenze garage, blues e psych-rock, oltre a certe fascinazioni vintage che ricoprono il tutto di una patina di finta ruggine; quasi si volesse fare il verso alle colonne sonore dei film di Quentin Tarantino, senza però impantanarsi nelle acque torbide del pulp.

Perchè, in fin dei conti, i Black Honey non sono nient’altro che un gruppo pop: il rock c’è e si sente ma, il più delle volte, è da considerarsi come un mero elemento di contorno. Un orpello capace di rendere accattivanti brani costruiti ad arte per entrare di prepotenza nella rotazione di emittenti alla Virgin Radio, tanto per intenderci.

Non che ci sia nulla di male in tutto questo, per carità : è solo che la scelta di non osare troppo e accontentarsi di un sound tanto accessibile quanto modaiolo potrebbe alla lunga diventare una zavorra per la band, che comunque ci regala non pochi pezzi degni d’attenzione (consigliatissime “Beaches”, “Run For Cover” e “Disinfect”). La voce di Izzy Phillips ammalia, ma le chitarre iper-compresse e i suoni artificiosi che caratterizzano un po’ tutte le canzoni tolgono genuinità  a un disco che, fosse stato leggermente più spontaneo, sarebbe stato di gran lunga migliore.

Credit foto: Laura Allard-Fleischl