Non poteva che essere amaro l’epilogo della storia dei Red House Painters, fuoriclasse della tristezza in musica oltre che autori di una sfilza di storici capolavori slowcore. E fu un finale davvero molto sfortunato, perchè vissuto vestendo i panni delle vittime incolpevoli di un business spietato e balordo. All’origine dei mali che consumarono la carriera della band statunitense, una serie di beghe discografiche, fusioni tra label e problemi finanziari che ritardarono di ben tre anni la pubblicazione di “Old Ramon”.

Il sesto e ultimo album della prima creatura di Mark Kozelek, registrato per i tipi della Island a cavallo tra il 1997 e il 1998, fu svelato al mondo solo il 10 aprile 2001 grazie all’intervento dello stesso songwriter dell’Ohio, che con non poca fatica riuscì a riappropriarsi dei diritti dei brani, e di una piccola etichetta dal grande nome: la Sub Pop. L’attesa fu lunga ma ben ripagata, perchè lo sventuratissimo disco era ““ ma che dico: è ancora, forse persino di più rispetto a vent’anni fa ““ bellissimo.

Queste dieci canzoni di folk rock dai toni tenui e pacati sono invecchiate come un buon vino. Nonostante l’età  avanzata e gli interminabili settantuno minuti di durata vanno giù tutto d’un fiato senza stancare mai, neanche per un singolo secondo. E per un motivo sorprendente, se si considerano i trascorsi “infelici” dei Red House Painters: “Old Ramon”, infatti, è un album di una serenità  sbalorditiva.

Quasi nessuna traccia della disperazione e del dolore di “Down Colorful Hill” o dell’omonimo del 1993; solo un sottile velo di malinconia che, immancabile, avvolge la voce di un Kozelek che si emoziona cantando dell’amore per il suo gatto (“Wop-A-Din-Din”) e per la musica di John Denver, leggenda del country morto in un incidente aereo nel 1997 (“Golden”). Non che tutto sia rose e fiori, intendiamoci: da alcuni testi, come quelli di “Byrd Joel” e “Smokey”, emerge chiaramente lo struggimento di un uomo che soffre poichè solo, lontano dai suoi affetti e soprattutto incapace di instaurare un rapporto sano con le donne, da sempre sue croci e delizie (ultimamente, a giudicare dai tristi fatti di cronaca che lo vedono coinvolto, sono esclusivamente croci).

Le ombre, quindi, non mancano di certo; ma rappresentano una minuscola parentesi all’interno di un quadro dominato dalle luci soffici dell’elegantissima (e lentissima) “Void”, dalle polverose atmosfere country folk di “Cruiser”, “Michigan” e “Kavita” e dal procedere languido ma a tratti vigoroso di “River”, anch’essa apparentemente dedicata a uno dei tanti felini domestici di Mark Kozelek. I suoni delicati, caldi e rassicuranti di “Old Ramon” hanno un che di rincuorante: ogni volta che lo ascolti ti sembra di entrare in un rifugio confortevole e protetto, distante anni luce dalle brutture dei tempi moderni. E pensare che il brano migliore del disco, ovvero l’elettrizzante “Between Days”, è un bel pezzone hard rock dal ritmo sostenuto e pieno zeppo di riff esaltanti. Un fulmine a ciel sereno, ma da intendersi in maniera assolutamente positiva.

Data di pubblicazione:  10 aprile 2001
Tracce: 10
Lunghezza: 71:50
Etichetta: Sub Pop
Produttore: Mark Kozelek

Tracklist:
1. Wop-A-Din-Din
2. Byrd Joel
3. Void
4. Between Days
5. Cruiser
6. Michigan
7. River
8. Smokey
9. Golden
10. Kavita