Sedicesimo album in studio per il Mod Father che, giusto segnalarvelo subito, tornerà nel nostro paese nell’autunno del 2022, dopo l’inevitabile stop all’attività concertistica, date a cui io stesso mi prometto di partecipare, dopo l’entusiasmate ed infuocato live a cui assistetti ai tempi del tour a supporto del magnifico album “As Is Now” del 2005.
Come per molti altri artisti, (vuoi per non smarrirsi in questi tempi di solitudine forzosa, vuoi per la consapevolezza dell’età che inesorabilmente segna viso ed animo), all’assenza di concerti si contrappone una forte presenza nella pubblicazione di nuove canzoni e, per chi come Paul ci crede ancora, di veri e propri album.
L’avevo lasciato, come personale ultimo acquisto fisico in cd, col piacevole, ma non eccezionale, “A Kind Revolution”. Il presente “Fat Pop” pare ricalcarne, ma con risultato migliore, l’eterogeneità degli stili che vengono abbracciati e restituiti all’ascoltatore con la grazia del tocco, invero personale ed inconfondibile, di Weller.
Prima di quest’ultimo nel 2018 ci aveva coccolato (ma non deliziato come avremmo voluto) con l’esperimento da crooner/cantautore di “True Meanings” del 2018 ed il primo lavoro ‘era lock-down9 “On Sunset” del 2020, anch’esso senza particolari picchi.
Parimenti non di clamorosi exploit vive “Fat Pop” ma, nell’insieme, appare più convincente, già a partire dalla copertina in vena pop-art, che mi ha convinto a preordinarne la copia in vinile giallo.
Si parte con le atmosfere electro-pop di facile presa del primo singolo “Cosmic Fringes”, che fa a dovere la sua parte di frizzante apripista; seguono “True” che, complice le chitarre in salsa glam e il riuscito duetto con Lia Metcalfe, mi ricorda i migliori e più scanzonati Pretenders.
Convincono altresì la title track, ammantata di elettronica venata di psichedelia, il sixties pop di “Shades of blue” (se pur a tratti un po’ scolastico) così come il seventies rock di “Moving canvas”. Regalano emozioni anche “Glad times”, grazie alle sue orchestrazioni con rintocchi di romanticismo bacharachiano e sul fronte più movimentato la pruriginosa black music di “Testify” e la coolness “That Pleasure”, adorabile funk bianco (non dimentichiamo di riascoltarci i suoi Style Council di quando in quando).
Trascurabili invece la morbida acustica “Cobweb/Connections” e l’evanescente “Failed” che ripesca , ma in questo caso stancamente, orchestrazioni e sensazioni soul.
Chiudono in maniera degna questo buon album le ballate “In better times” e “Sill Glides The Stream”.
Photo: Nicole Nodland