Allievo e maestro a confronto. Due stili e due backgrounds in fondo ben distinti ma al tempo stesso così simili e strettamente connessi. Rispetto e stima reciproca che, da una parte, diventano quasi devozione assoluta. Sono questi alcuni degli elementi che caratterizzano l’attesissima collaborazione tra il più “anziano” Lil Wayne (che qui appare in veste di “padrino artistico” quale è) e il giovane Rich The Kid, in quello che idealmente avrebbe dovuto costituire una sorta di manifesto artistico di due diverse generazioni di musica hip hop. Un sodalizio di cui (siamo onesti) abbiamo veramente creduto di aver bisogno solo fino a che non ce lo siamo ritrovato nelle orecchie.

L’inconsistenza del prodotto è palpabile e a tratti imbarazzante: costituito praticamente da soli bangers il cui fine è quello di ostentare (ancora una volta) il livello di lifestyle raggiunto con il duro lavoro ed “un paio” di rime, “Trust Fund Babies” parte da un’idea di base interessante ed intrigante che finisce per consumarsi miseramente in appena 10 tracce corrispondenti ad un totale di soli 30 minuti di riproduzione. “Feelin’ Like Tunechi”, celebrando la figura di Sua Maestà  Lil Wayne, si qualifica come il brano rappresentativo par excellence dell’intero progetto; “Headlock” è il primo banger puro a cui veniamo sottoposti e forse uno dei momenti più esaltanti ed adrenalinici, che rappresenta esattamente ciò che di solito viene richiesto da collaborazioni simili; “Admit it” non costituisce nient’altro che il livello più basso qui toccato e, infine, “Bleedin'” (ennesimo banger) è solo un altro degli unici due/tre momenti appena salvabili del joint album.

Nessun guizzo lirico tipico di Tunechi (che, come previsto, opera meglio del suo “compagno in armi”), nessuna produzione particolarmente degna di nota, nessun brano di cui sentiremo la mancanza tra meno di due settimane e, a conti a fatti, un prodotto nato su due piedi e portato a compimento in maniera evidentemente frettolosa che non giunge a nulla di concreto, non riuscendo a soddisfare nemmeno il più semplice e frivolo intrattenimento personale. L’unica comparsata presente nel disco è quella di YG da cui non ci si aspettano chissà  quali miracoli e che, inevitabilmente, finisce per suonare nella maniera più anonima possibile. E come se non bastasse, anche il lavoro di produzione, a sua volta, è quanto di più generico e riciclato possibile, che può soddisfare in minima parte solo nelle sue varianti più “aggressive”.

Non me ne vogliano i miei lettori, ma non può, ovviamente, esserci molto da dire su un prodotto che, a sua volta, ha poco o niente da offrire, da raccontare e candidandosi a pieno titolo tra i peggiori progetti hip hop usciti quest’anno ad alti livelli, il “fondo fiduciario” dei due “pargoletti” della trap d’oltreoceano è soltanto una breve delusione di appena mezz’ora d’orologio, che di fronte alla qualità  espressa da certi colossi molto vicini a loro (Kanye, Drake, J. Cole ecc.), dopotutto, non può che qualificarsi come nulla di diverso da un semplice lavoro ideato, appunto, da due bambini.