Inutile nasconderlo. Se Granduciel e i suoi The War on Drugs hanno nel tempo viaggiato (e lo fanno ancora, sia chiaro), con i santini di Springsteen, Dylan e Petty, ora sono le nuove leve a viaggiare col loro santino in tasca (vedi Sam Fender, for example). Quindi, la band americana è a tutti gli effetti diventata un punto di riferimento per chi vuole abbinare alla strumentazione alt-rock quella vena cantautorale che li ha portati ai piani alti del settore che ancora – volenti o nolenti? – viaggia al di fuori dei circuiti più mainstream (per quanto la Atlantic sia una major), insieme a nomi come The National e Wilco.

Altro giro per Granduciel e sodali, 4 anni dopo il soddisfacente “A Deeper Understanding“: il canovaccio è quello consolidato, fatto di atmosfere rarefatte ma percorse da una propria inconfondibile ed energetica luce, dove la voce e le parole del padrone di casa (grande penna, poco da dire) si incuneano con grande riuscita. Più che consolidato però, è quello da vincita sicura, con poche divagazioni dal tema: pezzi come “Living Proof” o “Harmonia’s Dream” in apertura, sono pezzi da The War on Drugs, se non proprio come te li aspettavi, proprio come li avresti voluti. E “Change”, terzo atto del lotto, segue la stessa traiettoria. E’ un’americana solo apparentemente modernizzata, ma che si affida sorniona ad un formulario ben sperimentato, non solo dalla band ma da tanti e tanti nomi negli anni. Emozionante, curata, riuscita.

Poi? “I Don’t Wanna Wait” è toccante con le sue piccole elettrolisi (anche se il dèjà  senti della melodia non gioca proprio a suo favore), lo stesso “Victim” tra modesti accelerando, una linea di basso serrata e qualche nota tagliente di chitarra, per tornare poi sul sicuro con la titletrack (ci sono i Lucius a patinare i backin’ vocals) che trasuda, once again, anni ’80 da tutti i pori, come del resto fa il ritornello di “Old Skin”, arricchita dal piano e qualche venatura sintetica o la effervescente “Wasted”, portata a braccetto dalla tastiera.

Chiudono i giochi “Rings Around My Father’s Eyes”, una ballad tanto commovente quanto accessoria, e “Occasional Rain” che non può spostare di mezzo centimetro un qualsiasi giudizio di qualsiasi tipo sulla band.

Se quindi eravate in attesa di un buon album da parte di Granduciel e compagni, eccolo qua: se aspettavate un qualche buon grado di innovazione, un livello qualitativo se non più alto almeno pari ai precedenti episodi, o addirittura il salto di qualità  da parte dei The War on Drugs, sarà , forse, per la prossima volta.

<Is life just dying in slow motion/ or getting stronger everyday?>, chiede il Nostro nella traccia che dà  il nome al disco: ci sarà  occasione per dargli risposta.

Credit Foto: Shawn Brackbill