è di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor”, di “Iosonouncane meno male che esisti”, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni”, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

SPECIALE GREEN SELECTION

FULMINACCI, Chitarre blu

Parte con calma il nuovo singolo di Filippo, che dopo un periodo mica breve di silenzio torna con un singolo che incastra Silvestri (nume tutelare che non smette di seguire le piroette di Utinacci), Beatles, Lucio Dalla, Neffa e quanto di convincente può venirvi in mente se pensate al concetto di “pop”. “Chitarre Blu” è un mantra quasi harrisoniano, che si infila tra le pieghe delle preghiere e restituisce la fede a tutti coloro che, ogni venerdì, aspettano il successivo per scoprire qualcosa che sfugga alla mediocrità  del weekend. Ecco, questo è uno di quei brani salva-orecchie.

NICOLO’ CARNESI, DENTE, Levati

Che combo, che coppia! Il livello è altissimo, qui dalle parti della grassa Bologna, e nella tratta che separa il capoluogo felisineo (residenza, ormai fissa, di Carnesi) e la vicina Parma si consuma il connubio d’amore e poesia tra Carnesi e Dente, con un andamento da “slow” che fa scivolare pian piano i piedi sulla pista e le mani sotto i vestiti. Il tutto, attraverso una (anzi, due!) penne che anche quando tagliano finiscono con il cucire, creando abiti comodi solo per cuori puri.

MAURIZIO CARUCCI, Origine

Ne sta sfornando parecchi, di singoli, il buon Maurizione, che sembra ben intenzionato a scostarsi sempre più dalle proprie antiche comfort zone per mettersi alla prova su linguaggi più tribali, quasi ancestrali. Anche “Origine”, in tal senso, conferma la voglia di radici per Carucci, che tuttavia non posa l’ascia di guerra del pop ma la porta piuttosto ad un nuovo, inedito, livello espressivo. Almeno per lui, e per chi lo ha sempre ascoltato attraverso il filtro Ex-Otago.

CHIAMAMIFARO, Pioggia di CBD

Non mi ha mai spettinato (anche perchè, di capelli in testa, ne ho davvero pochi) la musica di Chiamamifaro, però i pezzi girano sempre eccome. Merito anche dello stampo di Zanotti che comunque lascia il suo timbro (talvolta, con fin troppa presenza) “colonizzando” in senso “pop” tutto quello che tocca e produce: il risultato è un brano da hit-parade, che non da la botta ma si fa godere comunque. Un po’ come la CBD.

ESPANA CIRCO ESTE, Prosecco

Gasano i ragazzacci emiliani, che tirano fuori dal cilindro un brano a metà  tra Manu Chao e Buena Vista Social Club intelaiando un inno al viaggio, alla diversità , alla resistenza umana ed emotiva: insomma, una riflessione esistenziale che ben si mescola con tratti di denuncia che alzano il livello etico di tutto il brano. Dal punto di vista musicale, la struttura semplice e ripetuta su una manciata di accordi aiuta il tutto ad assumere i connotati del mantra.

PABLO AMERICA, We are ready to the fight

Ma che roba è? Capolavoro. Raga, giuro che non me l’aspettavo. Mi hai steso Pablo. Come faccio a parlarne, se son rimasto senza parole? Ma che ca”… Super. Non riesco a dire altro. E fuck off al sistema discografico.

ALESSANDRO FIORI, Amami meglio

Inutile dirlo, il livello è un altro rispetto a tutto ciò di cui abbiamo parlato fin qui. Non me ne vogliano gli altri, ma Fiori è Fiori e per me la primavera sta arrivando con lo sbocciare, dopo tanto tempo, di “Amami meglio”. C’è il solito afflato sixties che serve a stendere ancor più la giusta patina nostalgica su tutto l’inno retrospettivo di Alessandro, consegnando alla storia l’ennesima perla di un artista che non può nè deve essere dimenticato.

DAVIDE AMATI, Harem

Continua ad inanellare perle sofficissime, il nostro amato Davide Amati, cantautore eclettico e musicista dotato di un’intelligenza musicale che sa sposarsi bene con la delicatezza emotiva di una penna che con le parole fa un po’ quello che vuoi. Concato, Cammariere, Caputo: tre C, a cui potremmo aggiungere quella di Conte per restituire una vaga idea del mondo musicale di “Harem”. E ho detto poco”…

VEIVECURA, Volersi Bene

E’ un bel pop, quello dei Veivecura, che ben si intreccia con le trame autorali di una scrittura che ricorda cose belle che affondano le radici direttamente nella prima decade dei 2000 – insomma, gli anni d’oro dell’indie, quello vero. Nove tracce che raccontano di amori, attualità  emotive, storie che s’intrecciano come “polaroid e copertine da recapitare”: un bel viaggio nel mondo di un progetto da seguire ancora con attenzione.

SCICCHI, 4 su 4

Inutile dire che per me, quello di Scicchi, è uno dei brani più interessanti ascoltati negli ultimi mesi. Perchè? Basta che premi play e lo capisci; la pasta del suono, le timbriche al loro posto, la scrittura che – per quanto generazionale – sembra raccontare un disagio profondo, che supera le barriere spazio-temporali e si fa di tutti. In più, aggiungici i riferimenti ad opere storiche come “Blackbird” dei Fab Four, la citazione alla sinfonia dolceamara dei Verve. Ah, e ovviamente gli archi suonati dai musicisti dell’orchestra del cinema di Roma, registrati direttamente negli studi di Ennio Morricone. Insomma, mica male per uno che ha appena diciott’anni”…

LEO LENNOX, Fari Spenti

Mi piace la musica di Leo, e mi sono nel tempo affezionato ad una proposta che sta dimostrando, nel tempo, di avere un margine di crescita importante. La penna di Leo disegna una ballad nostalgica al punto giusto, lasciando rimbalzare tra le trame in pieno stile Ottanta dei sintetizzatori che aprono il brano la poesia di un urlo liberatorio, generazionale e quanto mai “emotivamente” sentito. Un connubio riuscito di influenze che alimentano ancor più l’hype verso le nuove uscite discografiche dal ragazzo.

MATHELA, Mai più

Allora, partiamo dal presupposto che è ovvio che, qualcosa da “registrare”, c’è nel nuovo singolo dei Mathela: qualcosina da aggiustare qua e là , pur partendo dal presupposto che il tiro del gruppo è tutto pepe e tritolo, esplosivo a prescindere. Mi piace questa voglia di rock’n’roll in stile Sessanta, con qualche eco di Caselli, Pavone e altre grandi “riot girls” capaci di fare la storia della discografia nazionale.

STEFANO BRUNO, Eppur si muove

Mi gasa, il nuovo singolo di Bruno, che mescolando Battiato, Moby e new-wave di inizio Ottanta tira fuori dal cilindro un viaggio lisergico attraverso il caleidoscopio di una riflessione esistenziale che sa di filosofia e ascetismo. Il brano sta in piedi sopratutto in virtù di un testo ben scritto, che inchioda con leggerezza all’ascolto.

LETIZYA, Mostri

Ho già  avuto in modo, in passato, di parlare di Letizya, cantautrice che già  dal primo singolo sembrava aver qualcosa di importante da dire; le prime sensazioni destate da “Mostri” confermano quanto detto in precedenza e poc’anzi: la ragazza ci sa fare, ha buon gusto e un bel piglio autorale che ne avvicina con efficacia la proposta sia al linguaggio della Gen Z che a quello del pop più tradizionale. La voce, poi, è davvero bella.

BARUFFA, Amore magico

Chitarrine lisergiche a metà  tra i Beach Boys e Colombre, penna che non sa fare a meno di ricordare il compianto Ivanone Graziani, timbro vellutato che sembra levarsi dagli echi degli anni Sessanta: c’è qualcosa di magico, appunto, in “Amore magico”; qualcosa che scivola come olio sulla pelle fin da primo ascolto, lasciando la sensazione di aver toccato qualcosa di etereo quanto consistente.

POLAAR, Golden Silence

Bell’elettronica che si mescola ad echi del Gabriel più ispirato, articolando fra loro mondi diversi nel segno di una nuova “new-wave” che pesca a piene mani dal mondo brit senza però affrancarsi da una certa propensione al lato più oscuro della luna, attraverso un cantato stentoreo che ricorda – a suo modo – un incrocio riuscito tra Joy Division e Depeche Mode. Insomma, un ottimo connubio di influenze che conquista sin da primo ascolto.

COMECARBONE, LUCIANO TARULLO, Vorrei

Primissima scena indipendente di fine Novanta/inizio Duemila, vocalità  graffiata il giusto a ricordare un po’ i Litfiba, un po’ i MST, un po’ gli After dei bei tempi: sinergie riuscite di influenze che pescano a piene mani dal grunge e dal post-rock nostrano senza però precludersi uno sguardo verso oltreoceano. C’è qualcosa che mi ricorda i Soundgarden, e quindi mi piace.

FRANCESCO MORRONE, L’amore non conviene

Trame che si infittiscono attorno alla scrittura sensuale, chiara e diretta di Morrone, che descrive con efficacia l’amplesso doloroso della vita che si fa, spesso, caduta e rinascita. Il timbro di Morrone, qui, finisce con il ricordare la poesia di Fossati e forse anche un po’ quella di Mannarino, non privandosi di un afflato romantico che ammicca comunque al folk di oltralpe e oltreoceano.

CEROLI, Tre giorni in hangover

Interessante il nuovo singolo di Ceroli, arricchito da una parte musicale che impreziosisce il testo di una canzone che rimane sospesa e aggrappata al timbro esile di Ceroli; c’è del lisergico (e come potrebbe essere diversamente), ma anche qualcosa di estremamente romantico nel bisbiglio a metà  tra felicità  e follia dell’artista di Lanciano.