Credit: Irene Trancossi

E’ di nuovo venerdì e seguendo la traiettoria del volo di un moscone – dal ronzio più emozionante di tante cose sentite ultimamente – ho percepito l’esigenza, da parte dell’Universo, di sapere (anche) la mia sulle ultime pubblicazioni musicali del Belpaese; è per questo che, signore e signori, ho deciso di comunicare urbi et orbi il mio bollettino del giorno sulle nuove uscite del pop italiano. Sì, quel tragico, ribollente pentolone traboccante degli sguardi impietosi di chi dice che la musica nostrana fa schifo, di chi “parti Afterhours, finisci XFactor“, di “Iosonouncane meno male che esisti“, di “Niccolò Contessa ma quando ritorni“, di Vans, libri citati mai letti e film repostati mai visti che ogni venerdì rinfoltisce la sua schiera di capipopolo di cuori infranti con una nuova kermesse di offerte per tutti i gusti e i disgusti. Ecco, di questo calderone faccio parte come il sedano del soffritto, quindi non prendete come un j’accuse quello che avete letto finora: è solo un mea culpa consapevole ed autoironico – ridiamoci su! che una risata ci seppellirà , per fortuna, prima o poi – a preparare lo sfortunato lettore alla breve somma di vaneggi e presuntosi giudizi che darò qui di seguito, quando vi parlerò delle mie tre uscite preferite del weekend, e della mia delusione di questo venerdì. Sperando di non infastidire nessuno, o forse sì.

GREGORIO SANCHEZ, Luna di miele, fine del mondo (EP)

Quattro canzoni per concludere un percorso che se non è la fine del mondo, è qualcosa che ci assomiglia molto; sì, perché Gregorio è una delle migliori penne del panorama e la chiave estetica scelta è quella delle grandi firme: nel nuovo EP di Sanchez c’è uno slancio cool che ricorda un po’ Andy Shauf, con quei fiati giusti a far respirare una produzione (curata, ad ogni modo, insieme ad un altro genio: Marco Giudici) che rimane molto minimale pur riempiendosi di colori. Che bella roba.

LUCIO CORSI, Magia Nera/Orme

Mi fa impazzire tutto quello che fa Lucio, con quel piglio glam anni Settanta che riscopre tutta una serie di cose bellissime che il discografico medio di oggi etichetterebbe come “retrò” senza capire che, ad essere retrò, è la sua visione discografica del cazzo; la nuova accoppiata di brani del talento toscano riscopre in “Magia Nera” il rock AOR americano alla Boston e Journey combinandolo con la ballata cantautorale di “Orme” che farebbe sciogliere anche il cuore più indurito.

NOSTROMO, Cambi Stagionali (album)

Bel disco di Nostromo, che mette insieme una tracklist densa di cose belle che rimandano a mondi sospesi tra la canzone anni Sessanta e un appeal pop da playlist di gusto. Di quelle, insomma, che ancora non esistono ma che se esistessero farebbero davvero bene a tutto il sistema.

BLUEM, moonlight

Bel piglio elettronico che recupera il lato più pop di Bluem per rendere ancora più convincente il retrogusto da hit parade dell’artista sarda, che pur non perde in un autenticità e identità.

MARIA ANTONIETTA, COLOMBRE, Io e te certamente

Una canzone d’amore con il coltello tra i denti, quella della coppia più rinomata dell’Adriatico: un incontro che sa di rosa e sangue, di coccole e pugilato. Un ottimo viatico verso l’uscita di un disco, quello di Letizia, che è davvero tanto atteso. 

MAVA, Giudizi Inutili (EP)

Un buonissimo EP per Mava, che contamina urban, canzone d’autore e un buon funk nella resa di un progetto che ingolosisce e diverte fin da primo ascolto. Buono per resistere al traffico, ma anche per rilassare le spalle quando l’ansia ti assale. 

ROBERTO CASALINO, Popcorn

Itpop vecchia maniera per Roberto, che inanella una struttura che funziona e non potrebbe fare altrimenti: la ricetta del tormentone non ammette sopravvissuti, ma resta comunque la sensazione che Casalino sia un ottimo artigiano che riesce a rendere godibile un archetipo forse un po’ troppo usurato. 

GUIDOBONI, Porno

Mi piace molto il timbro di Guidoboni, e devo dire che la canzone riesce ad emozionare con semplicità perché lascia trasparire una buona autenticità autorale. La voce, davvero, vale 3/4 del brano.

ANGELO SICURELLA, Cigni (album)

Un disco particolare, che rimane sospeso tra linee eteree e se vogliamo tese sopra un’oscurità che pare albergare nell’anima di una penna che cerca nuovi punti di stabilità. Progressive rock, sperimentale, psichedelica e un riferimento costante alla canzone d’autore che incuriosisce eccome. 

MOX, Dentro la mia stanza

Mox ha una delle penne più affilate del panorama indipendente italiano e la sua voce aiuta l’entusiasmo a prendere il volo sin da primo ascolto. Una ballata che fa innamorare mentre si danza un lento. 

BEATRICE PUCCI, Solo il tempo

Forse la miglior cantautrice del panorama nazionale emergente, che ritorna con una perla di rara bellezza che dimostra che la musica, quella vera, va aiutata a non perdere la luminosità della propria purezza. Senza intaccare il tutto con discorsi e strategie che sono buone per i supermercati e le strategie di vendita dei discount, e non per l’arte. Che qui, nei brani di Beatrice, respira a pieni polmoni. 

P.s. aggiornamento istantaneo solo per dirvi che è uscito oggi anche l’album di Beatrice, “Indietro”, ad avvalorare ancora di più il senso di quanto scritto sopra.

KUBLAI, Sogno vero (EP)

Un sogno in quattro atti che restituisce all’ascoltatore la sensazione di un’immersione riuscita in profondità oniriche, nascoste e lontane. Una contaminazione giusta tra ascesi spirituale e richiamo carnale a qualcosa di atavico e antichissimo. Un po’ Battiato, un po’ Subsonica. 

CENERI, Nelle teste degli altri (album)

Un album organizzato in un doppio EP che svela sfaccettature intense di un’artista da scoprire, in bilico tra pop d’autore e un certo retrogusto urban che esplode in alcune tracce senza perdere contatto con la realtà e rimanendo ben aggrappata ad un’identità forte, da seguire con attenzione. 

GIOVANNI TRUPPI, Moondrone

Un nuovo singolo che pare più un tassello verso la pubblicazione di un disco che, ne sono sicuro, inaugurerà nuove vie per il cantautore napoletano. Una dichiarazione d’amore che si contamina, come sempre, di vie diverse da quelle del romanticismo “made in Italy” per aprirsi ad una dimensione nuova, fatta di pura intimità, vera e autentica. Una canzone che è anche uno storytelling intimo e interiore in piena regola. 

ALEX FERNET, Lucidanotte

Mi piace il disco di Alex Fernet, che riesce a condensare in una tracklist di sette brani tutta la sua voglia sfrenata di dancefloor e funky-pop. Un bell’esordio che conferma l’esistenza di alternative valide alla solita musica del venerdì.

DENTE, Hotel Souvenir (album)

C’è tutta la storia di Dente dentro un disco che sembra provenire dal passato e allo stesso tempo guardare verso il futuro con lo sguardo perso e innamorato di chi non ha smesso di cercare le parole giuste. Qui, dentro “Hotel Souvenir”, ce ne sono parecchie: i “soliti” geniali testi che trovano la quadratura del cerchio nella chiave pop rinnovata dell’ultimo Dente. 

OSLAVIA, Fragili (album)

Mi fanno morire gli Oslavia, che combinano un buonissimo piglio punk-rock della prima ora con una scrittura che aleggia fra no-sense e demenziale, senza perdere l’identità autorale che contraddistingue “Fragili” fin dal primo play.

GORILLA PULP, Don’t Jump The Fence

Suona da urlo il nuovo singolo dei Gorilla Pulp, che dimostrano di essere come sempre disposti a mantenere alta la bandiera della rivolta: c’è una sana adrenalina che non smette di vibrare attraverso le corde di uno dei progetti più interessanti dell’hard rock contemporaneo. 

FERNANDHELL., Extra ordinary 

Una bella cavalcata che assomiglia ad una diagnosi di psicoterapia in salsa pop-punk, con un’ottima resa in termini di carica elettrica che, sin da primo ascolto, il brano lascia propagare in tutto il corpo. 

HOFMANN ORCHESTRA, Mi chiedi spesso

Già solo per l’incipit del brano, gli Hofmann hanno di nuovo fatto centro con me: un ottimo ritorno che riscopre la vena più “melodica” della band mantenendo alto il livello d’identità e cherosene. Super la copertina. 

ANDREA CANIATO, Ultimo round

Non conoscevo Andrea Caniato, e mi ha ricordato fin da primo ascolto un mood che richiama a tutta la scena rock italiana a cavallo tra anni Settanta e Ottanta: insomma, un buono slancio, con una buona scrittura e forse qualcosa da mettere ancora a fuoco in termini di “contemporaneità”, a meno che tale taglio vintage/retrò non sia ovviamente una scelta estetica irrinunciabile. 

FEDERICA GUARDIANI, Parli troppo

Ottimo stile per Federica, che gode di un’ottima vocalità che rimbalza in testa sin da primo play rimanendo a cavallo tra sonorità soul e r&b con una discreta identità aurorale. Niente male. 

WEER, Plastic Love 

Bell’esordio al napalm per i Weer, che tirano fuori una carica davvero roboante per presentarsi al mondo della discografia nazionale: piglio post-rock che esalta il timbro del frontman, e regala a tutti la giusta scarica di adrenalina per affrontare il weekend. 

PAOLO DI FRENNA, Fragile mondo

Passo dinoccolato da banlieu parigina, timbro soffice e soffuso di uno che sembra avere la pioggia dentro e uno stile che rimane a metà tra passato e futuro (perché le cose belle, le belle “reference” non invecchiano mai) per Di Frenna, cantautore navigato che non smette di prendere la via del mare verso nuovi orizzonti. 

MATHELA, How To Go Insane

Primo singolo in inglese per i Mathela, band che da queste parti abbiamo avuto di apprezzare a più riprese: ottimo piglio scanzonato per un brano dal retrogusto brit che per autenticità fa sorvolare su una pronuncia forse non proprio perfetta – ma per essere un “primo passo” oltreconfini, mica male!

IOFORTUNATO, Giorni Maledetti

Supersound per Iofortunato, progetto che merita di essere seguito eccome per le spiccate qualità autorale che si lasciano avvertire fin da primo ascolto: un ottimo singolo che gode di una produzione utile a dare slancio ad una penna ispirata certamente ai nomi forti della nuova canzone d’autore (colapesce e Dimartino su tutti) ma dotata di un’identità irriducibile ai suoi riferimenti. 

SAL RINELLA E LE PALLOTTOLE, Milano

Uno spiraglio di brit-punk con vista sulla Madonnina per Sal Rinella, che carica il ferro con una serie di pallottole che uccidono e fanno innamorare, con quella spensierata semplicità che dipinge una Milano patinata, fatta di contraddizioni irrisolvibili e bellissime. 

MARINELLI, Dentro la mia testa

Un Ep che mescola pop e canzone d’autore in una resa credibile e compatta, per Marinelli: una viaggio “dentro la testa” di una penna che affila testi da anni e che non smette di fare ricerca su sé stessa. C’è un ottima pasta che trova un buonissimo connubio con la portata riuscita di un lavoro onesto e schietto anche a livello musicale. 

MAURA, Rubi in chiesa

Mi piace molto il sound di Maura, che riesce a mettere in piedi una confessione intima che riesce comunque ad ammantarsi della giusta violenza catartica. Un ottimo singolo, forse tra i migliori della settimana, per la sua capacità di far incontrare tra loro sacro e profano con il piglio giusto dell’alchimista. 

ANNA OX, Lana

Copertina di Baronciani per un disco che merita certamente attenzione: un lavoro particolare, che mescola minimalismo e un certo gusto estroso per mondi sospesi tra virtuale e reale, in una sorta di danza distopica che riflette perfettamente il caos calmo della nostra malata contemporaneità. Da approfondire. 

LE LAME, Ti ho salutato (ma non eri tu) 

Mica male il nuovo singolo de Le Lame, che taglia il venerdì come un coltello caldo affonda nel burro. Un bel pop col veleno, che si arrotola su una voce nasale al punto giusto, emanando un buon odore di rock vecchia maniera e costruendo una climax che riesce ad esplodere con grazia e violenza nel finale. 

VINTAGE VIOLENCE, Il nuovo mare

Duemila metri sul mare per vedere meglio la distanza tra le nostre supposizioni e la realtà dei fatti; c’è una voglia di ripartire, nella musica dei Vintage Violence, che fonde insieme estremi opposti e diversi, partendo da una scrittura che si fa valere e combinandola con una colata di distorsione all’italiana che ricorda cose belle che, in quanto tali, finiscono con il non passare mai di moda. 

JOCELYN PULSAR, Stereolocale (album) 

Un progetto che non conoscevo e che mia convinto fin dal primo play: un cantautorato ironico e scanzonato che riesce a mantenersi ad un livello espressivo altissimo, senza stemperare la portata contenutistica di un disco che racconta una contemporaneità dura da affrontare. Sopratutto nella quotidianità della sua ginnastica, fuori dai riflettori delle nostre imprese più appariscenti. 

FRANCESCO LETTIERI, Diventare

Uno dei principali interpreti del nuovo cantautorato nazionale, Francesco Lettieri riesce di nuovo ad entrarmi nel cuore in punta di dita, scandendo con il suo pianoforte gli attimi di una riflessione che lievita pian piano, al ritmo incalzante di una ballata esistenziale che cresce con calma ed inesorabilità. La scrittura, come sempre, è di ottimo livello. 

K-ANT, Cenere (album)

Piglio caparezziano (quello dei bei tempi di “Sogno eretico”, “Le Dimensioni del mio Caos” e “Museica”) per K-ant, che a dispetto del nome d’arte “può” eccome, e riesce con una certa disinvoltura a spiccare con gusto tra le uscite del mese scorso: io arrivo con un po’ di ritardo perché le cose belle necessitano di tempo, e “Cenere” è un disco riuscito che per questo richiede immersione e riflessione. Sennò rimane, per l’ascoltatore, solo un’occasione mancata per provare a riattivare il cervello – senza smettere di muovere il bacino, tra l’altro. 

DOS, La tempête

Che follia riuscita, questo progetto di pop cameristico che prova ad andare in direzione ostinata e contrario con tutto quello che oggi il mercato richiede: DOS sfida l’ascoltatore nel tentativo di capire se è ancora in grado di dare attenzione a qualcosa che si muove parallelamente alla direttrice mainstream delle nostre comfort zone, in cerca di emozioni diverse, fatte di velluto e acciaio. 

MONNALISA, Ninfa (live session)

Punto di merito perché sentire qualcosa di “vivo” e suonato/registrato senza troppi filtri, come una volta, non è roba da tutti i giorni; la canzone di per sé si difende con piglio pop senza ammiccare troppo a nulla di mainstream ma attingendo piuttosto da un rock anni novanta che si fa godere. La dimensione “live” fa soprassedere su certi spigoli non proprio smussati, su qualche suono che forse poteva essere curato un po’ meglio.