La frequentazione di Astrid Williamson con i Dead Can Dance (da molto tempo la musicista scozzese si occupa infatti delle tastiere nei tour della storica band anglo-australiana e sarà  con loro anche nelle date italiane di maggio 2022) è stata davvero fonte di nuove e importanti suggestioni sonore per lei. Sempre più nel corso dell’ ultima parte della sua carriera Astrid sta cercando una forma canzone maggiormente suggestiva e ricercata, lontana da facili scappatoie radiofoniche e pregna, invece, di passione, coinvolgimento spirituale ed emotivo.

Non fa difetto nemmeno questo nuovo “Into The Mountain” che si dipana oscuro e magnetico in tutte le sue 10 canzoni. Astrid cerca sempre più di elevare la sua musica a veicolo empatico, capace di trasmettere ed assorbire emozioni, sia con notturne e minimali suggestioni pianistiche (“June Bug”) sia con l’ andamento ipnotico e rigoglioso di un brano come “Coming Up For Air” (con il suo magico crescendo vorticoso centrale che poi ritorna a placarsi), così lontano dai classici movimenti pianistici che si potrebbero aspettare dalla musicista scozzese.

I testi sono appunti di viaggio, pagine di un diario saltate fuori dai meandri di un vecchio PC, scritti personali su stati d’animo lontani, da rielaborare con l’occhio al presente. E Astrid mette in musica queste parole sforzandosi proprio di dare loro un vestito mai troppo confortevole, come se chi ascolta dovesse abituarsi a certi spigoli o a certe inquietudini non così rassicuranti, ascoltando ancora e ancora, senza fermarsi alla prima impressione, entrando in quelle ritmiche marziali e spezzate di “Eat” o nella cupezza ‘synthetica’ di “Body”.

Lambisce quasi suggestioni classiche la quiete e la sensazione di pace di “For Henry”, in cui, oltre al piano, compare anche il violino di Ruth Gottlieb (Tindersticks), ma subito dopo ecco l’elettronica di “Prague” che ci riporta alla fredda realtà  urbana, fredda ma non scarna, visto il finale che comunque si fa epico, senza però riuscire a scacciare quesl senso di oppressione e cupezza che aleggia sul brano. Se “Corsica” segue un tracciato etereo che sembra abbracciare estetiche dream-pop di puro incanto suggestivo, “Gun” pare quasi un ritorno al passato, ai tempi d’oro dei Goya Dress, mentre ancora un senso di cristallina sospensione ci pervade ascoltando la traccia finale “There Are Words”.

Sempre più apprezzabile dunque il percorso di Astrid Williamson, che non accetta di navigare su acque tranquille, ma continua un pregevole lavoro di ricerca e sperimentazione, mettendosi in gioco in un disco che, ad ogni ascolto, svela inesorabilmente un fascino ulteriore e nuove piccole sorprese. Molto bene.