Sembrano non conoscere il significato della parola riposo questi sei australiani, giunti ormai al ventesimo album in una carriera poco più che decennale. Si sono ritrovati a suonare tutti insieme nella stessa stanza dopo la lunga pausa forzata del Covid, che li ha costretti a lavorare a distanza agli ultimi album, e ne è venuta fuori una lunga jam incontrollata che a quanta pare li ha divertiti parecchio visti gli 80 min che vanno a comporre questo mastodontico doppio album.

Il pezzo con cui si hanno presentato al monto questa nuova fatica, la cavalcata psichedelica di 18 minuti “The Dripping Tap”, sembrava poter essere una sorta di manifesto d’intenti, ma in realtà  la band va veramente, forse per la prima volta, ben oltre quello che questo pezzo poteva fare presagire, in un sorprendente miscuglio di sonorità  che cattura un gruppo per la prima volta veramente a briglie sciolte.

Liberatesi dalla necessità  di esplorare a fondo uno solo dei generi del loro amplissimo bagaglio musicale, la opening track viene seguita da un’alternanza di pop (“Persistence”), jazz (“Presumptuous”), pezzi al limite del metal (“Predator-x”), e quello che una volta veniva definito progressive folk, tutto cosparso dalla solita spolverata di psichedelia mista a follia che ha contraddistinto tutti i lavori della band. La chiusa è affidata ad un pezzo che flirta con sonorità  Gipsy, quasi a voler sottolineare ulteriormente come la band non abbia voluto escludere nulla a priori.
Niente di nuovo per i numerosi fan della band, anche se un mix così variegato delle loro influenze non si era ancora visto nella loro già  citata immensa discografia. Anche se la lunga durata dell’album potrebbe sicuramente scoraggiare i più, il tutto scorre con grande naturalezza e potrebbe rappresentare un buon punto di partenza per chi fosse interessato ad avvicinarsi al gruppo ma che fino ad oggi non era riuscito a districarsi dalla disorientante mole della loro discografia.

Credit Foto: Jason Galea