Si fa un buon parlare di questo terzetto e a ragione, perchè la loro cura indie-pop in questo esordio (che finalmente andiamo a recensire, anzi, scusate il ritardo!) è tanta e decisamente raffinata. L’alchimia con Dan Carey ha dato i suopi frutti in un disco mai eccessivo e mai particolarmente esuberante, ma anzi, spesso composto e morbido, capace di mettere sul piatto svariate influenze (loro stessi parlando di Radiohead, Joni Mithchell e il jazz), rimodellate con gusto personale e bravura.

Il disco regala perle introspettive e soffuse, che mettono in luce le insicurezze tipiche di una giovane età , così come canzoni dall’animo più spigliato e sbarazzino, in cui il pregio vero è quello di non banalizzarsi, restando a un livello compositivo sempre di pregio. Ne nasce così un lavoro che presenta vulnerabilità  emotive evidenti, ma è capace di nascondere bene l’impazienza giovanile in canzoni che danno l’idea di una maturità  arrivata molto presto.

Non cercano le melodie facili, anzi, il disco è un vero e proprio disel…entra in circolo con calma, ci vuole pazienza, ma poi ecco che tutto si fa sintrigante e appagante sempre di più, ma, ripeto, abbiate la pazienza di seguire con amore e dolcezza questi mid-tempo mai sbrigativi. Sia che trionfi la morbidezza (“Young Looking”), sia che i ritmi si facciano intricati (“Half Past”), sia che il tutto assuma toni più brillanti (“Shadow”) o più notturni (“Burglar”, che, nella seconda parte del brano sembra quasi una versione jazz dei Delgados).

Occhio a questi ragazzi…scommetiamo che non ci libereremo tanto presto di loro.

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