Magari non saranno più rilevanti come lo potevano essere fino a una decina di anni fa, quando riuscivano a piazzare i loro dischi nella top ten statunitense. Ma i Silversun Pickups sono ancora qui tra noi, vivi e vegeti, e sono appena tornati con un nuovo album intitolato “Physical Thrills”. Il sesto lavoro della band losangelina ““ il secondo consecutivo prodotto da Butch Vig, già  dietro la consolle per il precedente “Widow’s Weeds” ““ non rappresenta in alcun modo una rivoluzione per Brian Aubert, Nikki Monninger e compagni, ormai totalmente a loro agio con un sound screziato e ultradefinito che è loro e soltanto loro.

Il gruppo ha personalità , esperienza e voglia di fare: riuscirà  a non tediare noi ascoltatori, come purtroppo accaduto in più di qualche occasione nel recente passato? La buona notizia è che no, “Physical Thrills” non è un disco noioso. L’energia che scorre potente in diverse tracce (“Scared Together”, “Hidden Moon” e “Stay Down (Way Down)” tra le migliori) fa passare in secondo piano anche moscerie un po’ irritanti come “Quicksand” e “Alone On A Hill”, due ballad dal sapore elettronico che, seppur di indubbia classe, risultano davvero troppo artificiali e fredde, incapaci di suscitare la benchè minima emozione.

Un difetto reso ancor più evidente dalla produzione di Vig che, come al solito, smussa oltremodo gli angoli di un sound già  di per sè eccessivamente levigato e radiofonico. Un po’ di naturalezza in più non guasterebbe ai Silversun Pickups; soprattutto adesso che, per loro stessa ammissione, sono liberi di esprimersi come vogliono dal punto di vista creativo e possono pure infischiarsene dei dettami del gusto mainstream.

“Physical Thrills” non è un disco a cui non frega niente di nessuno, come candidamente affermato dal leader Brian Aubert. Il discreto livello di ricchezza e contaminazione sonora che caratterizza l’intero lavoro ““ alcuni passaggi sono persino complessi, chiaramente influenzati dai Mew ““ non ha alcun impatto sul risultato finale. Quattordici tracce genuinamente rock (indie o alternative, chiamatelo come vi pare) che, nonostante le piacevoli sfumature dream pop, synthpop e post-punk, non escono mai fuori dagli schemi e scorrono via lasciando pochi segni. Godibile e nulla più.