In una recente intervista, Brian Eno a proposito del nuovo disco uscito il 14 ottobre, raccontava: “La mia voce è cambiata, si è abbassata, è diventata una personalità  diversa da cui posso cantare. Non voglio cantare come un adolescente, può essere malinconica. Per quanto riguarda la scrittura di nuove canzoni, si tratta di paesaggi, ma questa volta con degli esseri umani. Mi piace creare mondi, è quello che faccio come artista, creare mondi sonori. Ora, dopo una lunga assenza di esseri umani in questi mondi, ho provato a inserirne uno e a vedere come si sente nel mondo che ho creato

A 74 anni suonati, il musicista e produttore “magister” dell’Ambient Music ha creato un “nuovo” mondo sonoro, tornando a cantare dopo 17 anni da “Another Day on Earth”.

Dal primo suono all’ultimo, “Foreverandevernomore” ci afferra con orizzonti sconosciuti in un album che mette in prospettiva la fine dei tempi, a tratti inquietante. Nessuna canzone orecchiabile, ma lamenti dei giorni nostri, una raccolta di “ballate??” future ed enigmatiche, quasi post-blues-umani. Alla fine la sua voce è invecchiata bene anche se ha perso parte della sua giocondità , raggiungendo l’animo scavando emozioni.

Solenne, atmosferico, immersivo. Meditato da almeno un paio d’anni, forse uno dei suoi migliori dischi in assoluto. L’alchimista sonoro per antonomasia colpisce per la lucidità  di questo progetto, una sorta di concept album dedicato e ispirato dall’attuale emergenza climatica e dall’umanità  sull’orlo dell’oblio.

Ogni canzone è sostentata da una voce e uno stato d’animo diversi. Un protagonista differente in ogni traccia, da ascoltare ognuno nella sua interezza. Come in “Sherry” dove il cantato è di un altro spazio, da crooner ultraterreno, che ricorda un Robert Wyatt spettrale nativo da un’altra dimensione, mentre in “I’m Hardly Me” Eno innalza field recordings da altri mondi, interamente inventati e credibili. “Making Gardens Out of Silence”, rimane meditativa e sospesa nell’aria come un’essenza profumata in tre dimensioni. Oltre alla voce, è tutta l’ampiezza di suoni ed textures create da Eno e dai suoi collaboratori ad essere protagonista.

Ricordo ancora quando ascoltai per la prima volta “Here come the warm jets”, eccitato e abbagliato da quei suoni sintetici mai uditi. Oggi provo lo stesso sbigottimento ed entusiasmo, nonostante il climax sonoro sia completamente stravolto da allora.

In conclusione, “Foreverandevernomore” è ossessionante, etereo, oscuro ma stranamente rassicurante nella sua inquietudine. Parafrasando la nuova “creazione di un nuovo eno-mondo”, diventa documento profondo, splendidamente concepito e meritevole di essere esplorato.

Credit Foto: Shamil Tanna