Che il regista americano di origini indiane fosse tornato ad un ottimo stato di forma si era già capito con “Old”, girato davvero alla grande anche se poi un po’ mortificato da un plot twist finale un po’ tirato per i capelli. 

Pur lontano dai capolavori di inizio carriera, “Knock At The Cabin” è ancora meglio e anche il suo finale, meno sorprendente però e più lineare di quanto ci si attenda da Shyamalan, è piuttosto efficace.

Sorprendente, ma nemmeno troppo se uno ci pensa bene, è invece l’interpretazione di Bautista nel ruolo di Leonard, il professore a capo del misterioso quartetto che bussa alla porta di una deliziosa famiglia omogenitoriale per metterla di fronte ad uno scenario ed una scelta terribili e surreali.

Trama accattivante e densa di simbolismi e significanti religiosi e sociali a parte, ho trovato il film molto malinconico e struggente. È molto bello e saggio ad esempio l’uso di flashback (e poi flashforward) per ricordare quello per cui vale la pena e quello per cui non vale la pena fare un sacrificio.

Poi immagino che la paternità giochi in squadra con il film, ma è anche giusto così.