Trascorso un mese dall’uscita dell’ultimo atto della trilogia di “Atum: A Rock Opera in Three Acts”, è giunto il momento di tirare le somme su questo lungo percorso durato sette mesi. Non prima però di aver commentato questo “Act. III” che, dico fin da subito, si pone nel gradino intermedio del podio.

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Riprendendo le parole di una sentenza latina, in medio stat virtus ovvero l’episodio migliore dei tre è, a parer di chi scrive, rappresentato da “Act. II” dove “The Culling” e “To the Grays”, giusto per citarne un paio, riescono a imprimere una certa riconoscibilità, cosa che invece non riesce proprio ad “Act. I” (eccezion fatta forse per “The Good in Goodbye” e “Beyond The Vale”).

In questa ultima tranches di brani, peraltro dal minutaggio più corposo, Corgan e soci non spostano di una virgola il tenore adottato nei precedenti episodi solo che questa volta, probabilmente, il piglio si fa più leggero e si riesce, non senza difficoltà, a scorrere la tracklist in maniera più semplice rispetto ai precedenti atti. Anche in quest’ultima parte. l’apertura è affidata al classico brano dall’intro soft, con “Sojourner” che poi prende una certa piega prog prima che la successiva “That Which Animates the Spirit” che cerca di mostrare i muscoli di un tempo con una sorta di metal-pop…se così può dirsi. Chitarre che poi si rivedono in “In Lieu of Failure”, dotato di un refrain che vuol essere accattivante e nell’hard rock di “Harmageddon”, mentre la maggior parte dei brani sono circondati da quel synth-pop, nuovo amore di Corgan.

C’è spazio anche per il ruffiano mid-tempo di “The Canary Trainer” e per le elucubrazioni scontate della poppy “Spellbinding” che fanno da contraltare alle ballad, ovviamente presenti anche qui, rappresentati da una rilassata “Cenotaph” ed una più ricercata e cupa “Fireflies”, che tuttavia non aggiungono null’altro al calderone messo in piedi dalla band statunitense…rectius da Billy Corgan. Mettendo da parte infine i “lamenti” del deus ex machina contenuti nella traccia conclusiva “Of Wings”, nei quasi nove minuti di “Intergalactic” è possibile rinvenire timidamente, almeno nella seconda parte, qualcosina di interessante.

Accostato dallo stesso Corgan come continuazione dei colossi “Mellon Collie and the Infinite Sadness” e di “Machina/The Machines of God”, che non posso far altro che gridare vendetta, questa “Atum: A Rock Opera in Three Acts” pur se nel complesso riesce a raggiungere la sufficienza, purtroppo è destinata a non essere ricordata se non per quella maledetta “Hooray!”. I 33 brani che a valanga travolgono le nostre orecchie sono intrisi di tanto pop-rock che recidono di netto – con “CYR” che merita un capitolo a parte – il cordone ombelicale con il passato. In realtà già da tempo.

Piaccia o no, questi sono gli SP moderni.