Ripensando a questo magnifico album, che oggi compie 30 anni, non posso non ricordare il mitico Televideo della RAI. Si, proprio quello…Dio come sono vecchio. Mi spiego. All’epoca il Televideo era fonte ineasauribile di notizie su tutto: sport, politica, curiosità e anche musica. Ho forte e chiara l’immagine di una pagina che, in poche righe, parlava proprio di “Memorial Beach”, dicendo che gli a-ha provavano a fare gli U2. Pensa te.

Esaurito l’effetto nostalgia, scrivo con piacere due cose su un disco che ho amato (e amo) tutt’ora moltissimo. La “svolta” più chitarristica della band, con Pal Waaktaar-Savoy sugli scudi mi è sempre risultata molto gradita, perfettamente a fuoco e ottima anche nel songwriting così come negli arrangiamenti. Dei fasti synth-pop poca traccia, tanta malinconia e intensità invece, in un disco che avrebbe potuto segnare una nuova vi(t)a per la band e invece, complice anche il successo inferiore alla attese ne segnò la (momentanea) fine. Com’è strana la vita.

Chiariamo subito che gli accostamenti agli U2 o ai Simple Minds non sono poi così campati in aria, anzi, secondo me gli stessi Jim Kerr e soci hanno preso parecchi spunti da questa uscita quando si accostarono alla realizzazione di un disco come “Good News from the Next World”. Eppure fermarsi qui sarebbe decisamente riduttivo. Gli a-ha esplorano, si sentono liberi e senza vincoli, hanno voglia di mettersi in gioco (un po’, se vogliamo, proprio come gli U2 di “Achtung Baby”) e lo fanno smantallando quell’immagine solare ed eternamente adolescenziale che poteva contraddistinguerli. Un disco come “Memorial Beach” è realmente album della maturità e della sperimentazione, anche a costo di far storcere il naso a qualche fan più oltranzista.

Se “Dark Is the Night for All” e “Angel In The Snow” sono i due singoli che rendono dolce la pillola, delizie morbide e toccanti, gentili e struggenti in cui la voce di Morten Harket ci porta alle lacrime ecco che il resto del disco invece gioca su terreni più complessi, oscuri e con uno sguardo meno europeo, ma più rivolto all’ America (e ancora una volta, se vogliamo, ci rifacciamo agli U2, sempre però in termini di ideali più che musicali, con il pensiero che stava dietro a “The Joshua Tree”). “Move To Memphis” è incalzante, un viaggio in decapottabile a tutta birra e con il volume altissimo su queste lunghe e infinite strade americane, mentre il ritornello di “Between Your Mama And Yourself” (una caramellina deliziosa funk-soul con accenni gospel nell’uso delle voci) è forse il momento più sbarazzino e solare di un disco che guarda alle ombre più che alla luce. Anche “Lie Down In Darkness” a dire il vero ci fa battere il piedino con il suo andamento sinuosamente funky.

Dicevamo ombre. Si. E che ombre. Provare per credere la notturna “Cold As Stone”, con quel ritmo così squadrato e un arrangiamento magnifico. Il lavoro di Pal è da 10 e lode: 8 minuti e 20 di cristallina malinconia. Sembra una canzone fredda e invece ha un cuore caldissimo e bruciante al suo interno. “Locust” potrebbe appartenere a Sade, così morbida e delicata, tra soul e soft-rock. Quello che emerge dal disco è una bravura estrema della band proprio come musicisti, altro che sempliciotti synth-pop. Se associavate gli a-ha solo a una canzone come “Touchy!”, tanto per fare un esempio, ecco che qui la vostra visione della band sarà completamente stravolta.

Ottimo lavoro ritmico per “Lamb To The Slaughter” che a me pare la canzone più sofferta dell’intero disco, con questo organetto che da la linea melodica nel ritornello e un suono volutamente spartano, ancora ombroso, tutt’altro che solare e gioioso. Impossibile non citare “How Sweet It Was” che sembra quasi guardare al passato più “synthetico” ma con una consapevolezza più adulta, più profonda e la capacità di lavorare alla grande suoi suoni. La ritmica e le chitarre a me ricordano gli U2 di “Wire” periodo “Unforgettable Fire”, quelli in cui Brian Eno sapeva tirar fuori dalla band risorse nascoste e la stessa cosa sta accendo qui agli a-ha.

L’album si chiude con la magia jazzata della title track, che pare uscire dalla penna di Angelo Badalamenti. Una canzone incantevole a dire poco.

Ingiustamente trascurato da molti nella discografia della band, “Momorial Beach” resta invece manifesto della bravura musicale dei suoi protagonisti, capaci di mettersi in gioco e rischiare, senza cercare compromessi. Grande band, grande disco.


Pubblicazione: 14 giugno 1993
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Pop
Etichetta: Warner Brothers Records
Produttore: David Z, a-ha

Tracklist:
Dark Is The Night For All
Move To Memphis
Cold As Stone
Angel In The Snow
Locust
Lie Down In Darkness
How Sweet It Was
Lamb To The Slaughter
Between Your Mama And Yourself
Memorial Beach