Anche nel giorno in cui ricorre il suo trentennale, il destino di “Gold Against The Soul” è sempre quello di essere visto come un mero episodio di passaggio, un ponte tra due album fondamentali per i Manics, ovvero quel “Generation Terrorists” che li vide debuttare subito con un centro pieno, e quel “The Holy Bible” che, ancora oggi, è ritenuto come l’apice creativo della band. Probabilmente, non esiste alcun secondo disco la cui street cred è più legata ai lavori che lo precedono e lo seguono, e, onestamente, è anche difficile convincere gli appassionati nel provare a dare una maggior considerazione al contenuto del disco in sé, perché la tentazione di metterlo in mezzo a quello degli altri due album è troppo forte e, in definitiva, irresistibile.

L’argomento che, a questo punto, si potrebbe provare a usare, è il seguente: se il disco è degno di essere ritenuto un ponte fra due capolavori, non può che essere un capolavoro anch’esso. O no? Se valesse di meno, non rappresenterebbe ciò che rappresenta nell’immaginario collettivo dei fan dei Manics e degli appassionati di musica in generale. È matematico, e anche se, in musica, di matematico non c’è niente, la logica di questo ragionamento è ferrea e inattaccabile. Poi capisco che al cuor non si comanda, e se viene più naturale amare gli altri due più di questo, c’è poco da fare. Però, ricordiamocelo tutti, è sbagliato e ingiusto dare per scontato un disco magnifico come “Gold Against The Soul”, perché il suo valore è immenso e il suo impatto emotivo pure.

E allora, sapete cosa possiamo fare per celebrarlo adeguatamente? Ascoltarlo, semplicemente ascoltarlo, perché tanto difficilmente ci sarete, ci saremo, ammazzati di “Generation Terrorists” e “The Holy Bible” ultimamente, quindi abbiamo la mente sufficientemente libera e aperta per approcciare questo disco senza, una volta tanto, legarlo agli altri. Ve li dico sinceramente, mettetelo su e lasciatevi trascinare, io lo sto facendo per farmi ispirare nella scrittura e mamma mia, che discone assurdo! Pure le canzoni che normalmente passano più sotto traccia, tipo “Yourself” che sto ascoltando proprio ora, sono delle botte micidiali e hanno tutto: melodie, interpretazione vocale, emotività, carisma. Ogni singolo brano è in grado di stendere l’ascoltatore senza possibilità di replica e si resta lì, inermi, di fronte alla magnificenza.

Certo, è più facile essere d’accordo con quanto sto dicendo in relazione ai singoli, effettivamente scelti bene e adattissimi a far drizzare le antenne a un pubblico vasto senza scendere a compromessi. “From Despair To Where”, “La Tristessa Durera”, Life Becoming A Landslide” e “Roses In The Hospital” colpiscono con la loro qualità melodica indiscutibile, i loro giri di chitarra micidiali e la loro capacità di controllare al meglio la parte ritmica, però adesso sono arrivato a “Drug Drug Druggy” e non si cala di un millimetro nemmeno qui, grazie a un’ottima capacità di rappresentare quei momenti, che abbiamo tutti, di nervosismo che rimane sottopelle e non riesce a manifestarsi compiutamente.

E poi, una cosa a cui non si pensa molto spesso, è che la strutturazione della tracklist di questo disco è una delle più riuscite in tutta la carriera dei Manics, con le diverse sensazioni rappresentate dalle canzoni che appaiono una come la conseguenza di quella precedente e la causa di quella successiva, in un viaggio emotivo di rara intensità. E anche dal punto di vista melodico, gli accostamenti sono ben riusciti, ad esempio ora sono arrivato a “Nostalgic Pushead” e messa lì al fianco di “Roses In The Hospital” ci sta perfetta come un sorso di Chianti dopo un boccone di fiorentina. La naturale prosecuzione proprio, e la perpetuazione dell’estrema soddisfazione. Una delizia. E tutto il disco è così, tutto.

La lezione di quest’esperienza è che per capire al meglio il valore dei dischi sottovalutati, soprattutto quelli che lo sono per motivazioni che non c’entrano sulla con il loro contenuto, il miglior modo è ascoltarli. Sembra quasi banale dirlo, ma, personalmente, mi rendo sempre più conto che, quando si decide di pescare dal passato, se ne parla e se ne scrive molto più di quanto lo si riascolti. E la musica, invece, andrebbe innanzitutto ascoltata, poi si può passare al resto.

Pubblicazione: 21 giugno 1993
Durata: 42:57
Dischi: 1
Tracce: 10
Genere: Rock
Etichetta: Columbia Records
Produttore: Dave Eringa

Tracklist:

Sleepflower
From Despair to Where
La Tristesse Durera (Scream to a Sigh)
Yourself
Life Becoming a Landslide
Drug Drug Druggy
Roses in the Hospital
Nostalgic Pushead
Symphony of Tourette
Gold Against the Soul