cavetown intervista
Credits: Kane Layland

Per chi non conoscesse Robin Skinner, in arte Cavetown, ve lo potremmo descrivere come uno degli artisti cardine di quel genere semplice quanto intimista che è il bedroom pop, diari segreti adolescenziali diventati musica. Dopo averlo intervistato in occasione del Primavera Sound 2023, posso sicuramente affermare che Robin è di una dolcezza e gentilezza rara, ormai sempre più difficile da scorgere nel panorama musicale di oggi. Qui di seguito l’intervista:

Qual è una canzone che secondo te rende meglio dal vivo rispetto alla versione in studio?
Credo “Devil Town”. È una delle canzoni preferite dal pubblico, ed è diventata anche una delle nostre. Prima non mi piaceva molto suonarla perché è una canzone molto vecchia, non mi entusiasmava la produzione, tutto il resto e la traccia originale in sé. Quindi ci è voluto un po’ di tempo per ottenere una versione dal vivo che suonasse bene, ma è diventato davvero divertente. La suoniamo sempre per ultima ed è un po’ come sprigionare le nostre ultime energie e sì, penso decisamente che dal vivo sia meglio del brano originale. Una parte di me vorrebbe rifarlo e registrarlo di nuovo, ma l’ho già registrato molte volte e non voglio esagerare.

Qualcosa che vorresti trasmettere al pubblico durante i tuoi concerti?
Che si sentano al sicuro e a proprio agio. Per molti l’esperienza di un live può essere snervante, sono stato nel pit solo una volta e me ne sono dovuto andare immediatamente perché ero sovrastimulato. Quindi, vorrei che le persone entrino a un mio concerto e sentano di potersi divertire e rilassare, perché so che può essere un ambiente piuttosto stressante.

Una canzone che vorresti sempre tenere nella tua scaletta?
Probabilmente “Devil Town”, perché è molto divertente da suonare. È una domanda difficile, perché molte canzoni, di solito, più sono vecchie e meno mi piacciono – a “Devil Town” però abbiamo dato una nuova vita con i live. Mi piace molto anche “Juliet”, sembra che sia anche la preferita di molte persone.

Parlando di “Juliet”, in alcune delle tue canzoni ti descrivi tramite vari concetti e immagini visive, proprio come in Juliet (“I’m really just a kid / With two corks in his eyes / And a bully in his head”), oppure in “Frog” (“I’m your frog”). Hai una metafora preferita tra queste?
Probabilmente quella in “Frog”, non so se perché l’hai citata tu, ma mi piace. Amo anche le rane, ma in generale penso che questa immagine sia molto dolce e tenera.

Come pensi stia andando la tua evoluzione musicale? C’è qualcosa che ti sta ispirando particolarmente al momento?
Non so, penso che negli ultimi due anni ho viaggiato davvero tanto, tutte queste esperienze e l’incontro con persone nuove mi ispirano molto – finché continuo a muovermi mi sento ispirato, praticamente. Poi io non posso guidare, quindi ogni volta che i miei amici mi portano in giro di solito mi fanno scoprire e ascoltare nuova musica, spesso fatta proprio da loro; anche questa è sicuramente una grande fonte di ispirazione.

Parlando di posti, hai suonato diversi concerti in Italia! Come ti sei trovato?
Bene! In realtà ho un debole per l’Italia, perché io e i miei genitori ci andavamo spesso quando ero piccolo, durante le vacanze estive, vicino alle Cinque Terre. Ci sono tornato piuttosto di recente, ho rivisto la villa dove stavamo, il parco giochi dove giocavo. Rivedere tutto questo mi ha fatto sentire come se stessi sognando. Ho sempre amato molto l’Italia: penso che sia davvero bella e amichevole, paradisiaca.

Qual è una cosa che ti piace particolarmente del suonare live?
Non è possibile ottenere la risposta dal vivo della gente da nessun’altra parte, credo. Posso pubblicare un album e leggere i commenti, ma non c’è niente di meglio che cantare con qualcuno che non conosci e vedere la gioia nei loro occhi e così via. Oppure anche quando io e la mia band abbiamo una giornata molto bella e affiatata, in cui siamo tutti molto in sintonia, posso girarmi e vedere che siamo in una piccola bolla sul palco. Ho sempre sognato di avere una band così, ma non ho mai avuto molti amici a cui chiedere. Ci ho provato un paio di volte, ma c’erano sempre conflitti di interesse e cose del genere, ma ora questa è la mia band, ed è una figata. Ci divertiamo sempre molto, posso dire che sul palco ci sono davvero solo i miei migliori amici.

Che consigli daresti ai giovani artisti trans che stanno cercando di intraprendere una carriera musicale?
Direi che è una risposta che posso rivolgere a tutti gli artisti giovani in generale; penso che dovrebbero sapere di essere i capi di se stessi e cosa è meglio per loro. Mi sembra che molti ragazzi vengano presi da un manager o da un produttore che li fa sentire come se ne sapesse più di loro e cercasse di prendere decisioni al posto loro, immischiandosi troppo nel processo creativo. A volte sembra che le persone si sentano, non so, come se avessero perso il motivo per cui volevano fare musica. Cercano solo di fare il loro meglio, ma non si rendono conto di essere sfruttati.

Credo di essere stato molto fortunato a trovare in fretta persone che mi rispettano, a cui piacciono le mie idee e che non sono interessate a cambiare il modo in cui voglio fare le cose. Credo che questo sia incredibilmente importante se vuoi che la tua carriera sia sostenibile e ti renda felice per molto tempo, la cosa più importante è che tu sia felice di quello che stai facendo. Penso sia molto utile capirlo fin dall’inizio, per creare una sorta di precedente per tutti quelli che incontrerete in futuro. Siete voi il capo, voi che scrivete la musica, voi che avete l’ultima parola su tutte le decisioni. Perché anche adesso, a volte, ho una troupe meravigliosa, ma mi ritrovo a pensare: “Oh, mi sembra che stiamo sbagliando qualcosa, ma mi sembra di non saperlo”. Perché, anche se queste sono persone adorabili, sento che se sei circondato da un gruppo di musicisti molto competenti a volte hai paura di dire la tua, perché magari non sai cosa sia davvero la cosa migliore da fare. Quindi, sì, circondarsi di brave persone e soprattutto fidarsi di se stessi è una buona cosa da provare a padroneggiare fin da subito.

Se potessi dedicare una canzone al te stesso del passato, quale sarebbe?
Non ne ho una precisa, mi sento come se fosse già quello che ho fatto, quello che ho fatto soprattutto quando ero più giovane. Tutte le mie canzoni le scrivevo a me stesso, erano cose che volevo sentirmi dire.

Qualche artista queer sottovalutato che invece dovrebbe essere più conosciuto?
Direi il mio amico Addison Grace! Di recente abbiamo lavorato insieme, è un artista trans dello Utah. Stiamo lavorando al suo primo LP insieme. La sua voce è incredibile, è piena di emozione, e anche il modo in cui costruisce una canzone è davvero affascinante, e anche molto talentuoso. Magari ricordo male, ma mi sembra che abbia 22 anni, quindi è anche molto giovane e dolce, merita tanto amore. Ho anche citato spesso underscores, ma lo farò di nuovo. È un’artista hyperpop molto interessante che ho ascoltato spesso nell’ultimo anno, ha una produzione davvero intrigante. Un paio di mesi fa mi sono seduto in studio con lei, l’ho osservata mentre produceva una canzone e mi sono detto: “Wow, questa è roba da matti”.