Un motore distorto romba nelle profondità remote del tempo, conducendoci su un pianeta selvaggio, puro, incontaminato ed innocente, ma anche spietato, feroce e crudele, mentre, nel frattempo, i riff energetici di brani come “Motor Spirit” o “Witchcraft” ci intrappolano – come se fossero dei tentacoli sonori – in una realtà che, nonostante i suoi numerosi pericoli e i suoi oscuri misteri, è, finalmente, libera da tutte quelle sovrastrutture artificiali costruite con l’unico scopo di garantire al potere, alla disperazione, allo sfruttamento e ai profitti di mantenersi tali.

Credit: Jason Galea

Quest’ultimo lavoro della prolifica band australiana, intriso di elettrizzanti divagazioni garage e stoner rock, apre il vaso di Pandora e consente agli istinti dirompenti del metal più veloce, più brutale, più cattivo, più arrabbiato di fare a pezzi la nostra apparente, ipocrita e fasulla tranquillità esistenziale, mostrandoci quanti orrori e quante mostruosità erano, invece, celate nel nostro bel giardino, nel nostro egoistico ed egocentrico presente. Questa apocalisse petro-dragonica assume, infatti, la consistenza di un nuovo percorso spirituale, di una nuova sensibilità, di una nuova identità, di una nuova umanità, una umanità svincolata dalle illusioni, dalle chimiche, dai compromessi e dalle visioni virtuali, prodotte, in serie, da un mago di Oz, tossico ed infettivo, che si divertiva a farci vagare in un inutile labirinto di incomprensioni, di diffidenze reciproche e di paure irrazionali.

Una malattia dei tempi moderni, aggravata dalle diavolerie tecnologiche dalle quali, ormai, non siamo più in grado di separarci, per la quale i King Gizzard & The Lizard Wizard ci offrono questo loro salvifico elisir speed e thrash metal, le sue ritmiche impellenti, i suoi riverberi sinistri, le sue trame psichedeliche, il suo approccio narrativo che è, allo stesso tempo, intriso di figure terrestri e terrene, ancestrali, diaboliche, eroiche e fantastiche, ma è anche rivolto agli abissi spaziali, alle domande che continuano ad echeggiare in quell’enorme e imperscrutabile vuoto.