Credit: Fabio Campetti

Credo che quest’associazione, che si chiama Fine di mondo, meriti affetto e un applauso a prescindere, collettivo che sta cercando di portare cultura underground nella provincia veneta, esattamente a Villafranca. Quindi una villa da b movie americano, quasi in mezzo al nulla, nel cui basement è stata ricavata una hall allestita e attrezzata per fare concerti e ospitare realtà internazionali di nicchia, fare ricerca o semplicemente buona musica, senza fronzoli, come si dice, badando al sodo.

Quando siamo arrivati, sinceramente, pensavamo di aver sbagliato strada, e forse il moniker scelto non è un caso ed è quanto mai appropriato.

Siamo qui per una delle tappe italiane di un’artista, Breanna Barbara, che ancora non è incredibilmente conosciuta, almeno per un minimo sindacale.

Arriva da New York, esattamente dal Queens, e passa in Italia appunto per un tour di quattro appuntamenti, iniziato, a macchia di leopardo, a fine giugno, artista che non conoscevo assolutamente, che lessi per la primissima volta nella line up di una della tre giorni dello storico festival Beat a Salsomaggiore, tra l’altro con la dicitura di artista eccezionalmente fuori contesto per l’abituale kermesse emiliana, in effetti Breanna suona uno psych-folk moderno, incide per Fuzz Club Records e pure un amico di riferimento super attento ed esperto di novità underground, non l’aveva mai sentita nominare.

E invece è bravissima, un’ira di Dio come si usa dire.

Prima peculiarità la scrittura, le canzoni sono belle e chi mi ha ancora letto, avrà notato, essere un argomento, a cui tengo particolarmente e che butto spesso sul piatto, perché è sempre più difficile trovare un songwriting di fondo accattivante, parlando in generale, magari ci sono ugualmente tanti episodi interessanti, ma spesso e volentieri sono lidi raggiunti grazie a mestiere e soluzioni produttive che al vero e ficcante, vecchio talento.

Questa, invece, appunto, scrive bene alla radice, ci sono le canzoni, che poi fa un genere dov’è spesso l’arrangiamento a vincere e invece parte proprio, come si deve, fin dalle fondamenta, quindi è una miscela irresistibile, due album in cassaforte il primo del 2016 “Mirage Dreams” e poi “Nothin’ but time” nel 2022, che anche il pretesto per questo tour europeo, quasi di fortuna, in Europa, nel senso che, come detto sopra, non la conosce praticamente nessuno, chiaramente la celebrità è l’ultima cosa che a noi di indie for bunnies interessa, anzi, è un piacere dare il nostro piccolo e umile contributo per far emergere probabili o possibili future next big thing.

Inizia molto tardi, abbondantemente oltre la mezzanotte, un set infuocato di una cinquantina di minuti, psichedelica, indie-rock, folk, una band eccellente e bizzarra, coesa e amalgamata e assolutamente a fuoco anche nella sua estetica, tanto agonismo, canzoni che sono già classici come la title track nonché singolo “Nothin’ but time”, l’accoppiata “Weight of the world” con l’emozionante “Old School”, “Diamand Light” e la conclusiva “Mirage Dreams”. Un concerto bellissimo, che se fosse stato sul main stage del primavera sound non avrebbe rubato nulla.

Eravamo in dieci mal contati, tutti contenti di esserci stati, onore a chi l’ha portata in Italia e che ci ha permesso di conoscerla, a volte funziona anche così.