Otto anni di silenzio, di progetti paralleli ma non secondari ed eccoci qua. Come un fulmine a ciel sereno, ecco il nono album dei Blur che hanno dimenticato totalmente il Brit Pop per fare posto alle riflessioni esistenziali e ai sentimenti.

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Per capire il titolo di questo album, bisogna fare un passetto indietro. 1996, Festival di Sanremo. Alla conduzione un Pippo Baudo che non sa gestire una band di ragazzetti inglesi, secondo lui i nuovi Beatles. Quattro minuti di caos e cazzate: Graham Coxon non poté esserci quella sera e venne quindi rimpiazzato da un cartonato con il quale Albarn iniziò a fare lo scemo (piccola, ma velata critica al Festival della musica, ma senza musica come la loro “Charmeless Man” in playback); ad aggiungersi al casino, Alex James che manco si presentò in aeroporto e venne sostituito dalla guardia del corpo Smoggy, known as Darren Evans. Eccoci con “The Ballad Of Darren”.

Questo nono ed attesissimo album prende proprio spunto dalla figura di Darren, ma è solo un pretesto per raccontare quello che i Blur sono diventati attraverso la vita ed i pensieri di Damon. Non più la band di ragazzetti, non più “Girls and Boys” degli anni novanta o appartenenti ad una “Country House” o ancora spaccatutto come una “Song 2”. Qua ci ritroviamo immersi nel mondo malinconico del frontman che ovviamente non vuole parlare da ventenne e per i ventenni, ma semplicemente raccontare la vita da adulto over 50 piena di filosofia, ripensamenti, promesse mantenute e non in un turbinio di emozioni non-stop.

Proprio Albarn, poco tempo fa, ha detto “è un album di assestamento, una riflessione e un commento sul punto in cui ci troviamo”, ” più diventiamo vecchi e folli, più è importante riempire i brani con le emozioni e le intenzioni giuste” aggiunge Coxon. Quindi non ci resta che addentrarci in questa lunga ballata da 10 tracce, piena di emozioni e riflessioni da adulti.

Per capire bene questo album non possiamo fare altro che leggere anche il testo. La prima canzone ad aprire il nuovo album è “The Ballad” che, proprio come suggerisce il titolo, è una ballata fatta di coretti e brevi giri di chitarre incastonati nella voce di un narratore disperato che racconta di un amore che non tornerà mai “And all I saw was that you’re not coming back”. Potrebbe essere la fine di una storia romantica tra due persone, o l’allontanamento tra due amici come nel caso del frontman e di Graham, con il quale “ha girato il mondo assieme“.

Subito dopo “St. Charles Square” che per un nano secondo ci ha fatto ritornare quelle vibes da “Modern Life Is Rubbish”. Non ci vuole molto che di botto siamo tutti “fucked up”. Qui la figura di Graham è fondamentale, tornata alla sua chitarra elettrica incerta ma potente e tagliente e ai suoi coretti mentre si canta “I’ll ride with you forever”. “Barbaric” è sicuramente uno dei pezzi di punta di questo album, grazie ai suoi passaggi armonici e al finale pieno di archi che ti fanno volare tanto in alto, che vede però appena dopo “Russian Strings” accompagnata da una batteria in 4/4 costante, armonizzazioni di chitarre che non sembrano tali e come sempre un Albarn che ci dice come “There’s nothing in the end, only dust”.

Se in questa prima parte tutto svanisce, nella seconda invece, partendo da “The Narcissist”, inizia il percorso di accettazione con la promessa di non fare più stronzate, di mettersi alle spalle quella depressione costante in “Goodbye Albert” e di non sentirsi più smarrito come in “Far Way Islands” per ricercare quella felicità perduta in luoghi conosciuti. Luoghi come la casa nel Devon di Albarn descritta in “Avalon”. Proprio quest’ultima presenta un testo, accompagnato da ottoni e chitarre che esplodono nella seconda parte, che lega questo luogo anche alla guerra in una canzone caratterizzata da toni cupi e spiragli di luce della breve durata.

Questo disco non è da cantare insieme agli amici, in un coro di cori nelle lunghe macchinate serali verso il divertimento. L’impegno che richiede “The Ballad Of Darren” va oltre il semplice ascolto passivo dei brani: bisogna soffermarsi più volte per cercare di carpire ogni singola nota e ogni singola parola di questa grande narrazione che è la vita di adesso dei Blur.

La band non si stanca mai di comporre nuova musica, e come in “The Magic Whip”, ha intrapreso una strada che è quella giusta ovvero quella dei loro anni. Sanno ancora scrivere pezzi brit, non c’è ombra di dubbio, ma perché ingannare il destino rimanendo per forza eterni giovani quando, e soprattutto come dicono in “The Heights”, “are we running out of time?”.