Credit: Emanuela Tortelli

“La poesia consiste nella visione d’un particolare inavvertito, fuori e dentro di noi”, ci suggeriva il poeta Giovanni Pascoli, nativo di San Mauro e a cui é intitolato il Parco della Poesia in cui é collocata la splendida Villa Torlonia, una delle location dove da oltre un decennio si svolge Acieloaperto, festival ben radicato sul territorio romagnolo, che da sempre si muove con lo spirito di portare innovazione e sostenibilità sul territorio, unendo grandi nomi del panorama internazionale a proposte nazionali. 

Se avesse potuto viaggiare nel tempo il nostro poeta nazionale sarebbe stato probabilmente lieto di mescolarsi tra il pubblico nella serata del 24 Agosto, perché i particolari inavvertiti i Wilco, sorvolando un repertorio che si estende in un arco temporale di quasi trent’anni, ce li hanno fatti cogliere tutti.

Apre la serata poco prima delle 21 Courtney Marie Andrews, cantautrice, poetessa e pittrice nativa di Phoenix, che con le sue ballate folk impregnate di grazia e determinazione ha proposto sette brani tratti dal suo ultimo LP “Loose Future” e dal precedente “Old Flowers“. Alternando chitarra acustica ed elettrica al piano wurlitzer e accompagnata da basso e batteria, Courtney regala con la dolcezza della sua voce e presenza qualche momento di raccoglimento, menzione speciale per “If I told You” che introduce dedicandola a tutti i love birds presenti.

Non appena Jeff Tweedy e i suoi magnifici cinque compagni di viaggio salgono sul palco poco prima delle 22 esplodono immediatemente gli applausi. Oltre un migliaio le persone presenti, di età eterogenee e tra cui si riscontra una vasta presenza di giovani, alcuni sono fan della band dell’Illinois da sempre mentre per altri si tratta di una nuova scoperta, ma é subito evidente quanto una band di questo calibro possa far presa su diverse generazioni. Ci troviamo al cospetto di autentiche leggende della musica Alt-rock Americana, che hanno saputo innovare il modo in cui scrivere canzoni aprendo nuove possibilità e approcci stilistici inaspettati al country rock, segnando una diversion unica all’interno del genere stesso. 

Primo brano in scaletta é “Handshake Drugs” e sono subito chitarre roventi, al termine della quale Jeff rivolge il primo di numerosi “Ciao” e “Grazie” al pubblico, che lo accoglie con il calore che si riserva ai più cari amici di vecchia data. Segue una tripletta di brani estratti da “Cruel Country”  album del 2022 registrato live nel loro Loft di Chicago e che ha segnato un ritorno alle radici, ma durante il corso della serata ci sarà ampio spazio per digressioni nel passato. 

Sulle note di “I Am Trying to Break Your Heart” si inserisce una variation sul testo con “what was I thinking when I said Ciao”. Giunge il momento per un flashback nel 1996 con la splendida “Misunderstood” che fu uno dei primi brani a lasciar intravedere l’enorme potenziale della band nello sperimentare territori sonori ben in anticipo sui tempi, una cavalcata di un paio di accordi e raffiche intermittenti tra chitarra e batteria che dal quesito fondante “Do You still love rock and roll? “ termina in un attacco di panico con la martellante e liberatoria ripetizione della parola Nothin’.

Presentano poi la bellissima “Evicted”, primo estratto dall’album “Cousin” in uscita a fine settembre, la cui resa live é già eseguita alla perfezione come se la suonassero da sempre e in cui Jeff invita con la sua classica seria ironia al memento mori – I’d laugh until I’d die if it wasn’t my life / If it wasn’t me in the mirror- si schernisce poi chiedendo se è stata gradita, come chi sa di avere in tutti gli assi nella manica e promettendo che il nuovo album sarà “a good one”. 

Il momento di maggiore virtuosismo rock si raggiunge con “Random Name Generator“, ma il vertice della serata si tocca con due tra i brani più iconici della band, “Jesus Etc.” estratta da quel capolavoro di album che é “Yankee Hotel Foxtrot” e che non appassisce nemmeno a vent’anni di distanza dalla sua pubblicazione, in cui si ribadisce – everyone is a burning sun – e successivamente con il lungo progredire di oltre oltre sei minuti di astrazione di “Impossible Germany“,  su cui Mr. Tweedy ancora sorride pronunciando – now I know you’ll be listening- e il cui magnifico assolo costruito in un’estasi di tre chitarre permette di apprezzare al meglio l’eccellenza tecnica di Nels Cline, che nel corso della serata passa più volte con disinvoltura anche alla pedal steel guitar. I suoi stessi compagni lo applaudono al termine del brano e lui con la massima umiltà rivolge applausi a loro.

Non vi sono dubbi che l’attenzione del pubblico sia catturata, “Heavy Metal Drummer” e “A Shot in the Arm” si trasformano infatti in cori con braccia e teste che si muovono a ritmo, enfatizzando il pieno coinvolgimento dei presenti. Degno di nota il grande lavoro da parte dei sound engineers per rendere i suoni quanto più possibile simili alle versioni studio con volumi ben equilibrati, agevolati anche dalla buona acustica del luogo.

Verrebbe a volte da domandarsi se sia possibile avere dopo quasi trent’anni sul palco la voglia e l’entusiasmo di dire qualcosa con la stessa intensità degli inizi, la risposta assistendo ad un concerto come quello dei Wilco è assolutamente positiva. Ciò che colpisce maggiormente vedendoli suonare affiatati e compatti, pur dopo vari cambi di line up fino al consolidamento della attuale, é quanto amino fare ciò che fanno, con la spontaneità dei grandi, in cui nessuno sovrasta l’altro e dove tutto avviene come in uno stormo di uccelli migratori che sanno dove la strada li porterà e la percorrono uniti fino a destinazione.

La formazione attuale vede affiancati alla carismatica voce e chitarra del frontman Jeff TweedyJohn Stirratt al basso,membro di più lunga data accanto a Jeff sin dai tempi degli Uncle Tupelo e dalla fondazione dei Wilco stessi, alle chitarre Nels Cline e Pat Sansone, Glenn Kotche alla batteria e Mikael Jorgensen alle tastiere, ciascuno dei quali preso singolarmente é un fuoriclasse del proprio strumento. Gli inverni congelati sulle sponde del lago Michigan sono qualcosa di serio e forse per contrastare la rigidità del clima si deve essere instaurato tra di loro un livello di calore umano superiore, che rende evidente il senso di appartenenza ad una famiglia allargata. Seri ma senza mai prendersi troppo sul serio, si percepisce che sono persone che suonano insieme per il puro piacere di farlo, condividendo un linguaggio comune che crea incredibili sfaccettature e intrecci nelle loro armonie, che non hanno nulla di scontato. Nel lungo encore ascoltiamo altri cinque brani, tra cui spicca una una meravigliosa performance di “California Stars”, risalente all’incredibile lavoro eseguito con Billy Bragg in “Mermaid Avenue” per riportare in musica i testi scritti da Woodie Guthrie, padre del folk americano, seguita dalla trance di quasi dieci minuti di  “Spiders / Kidsmoke” e sul finale eseguono una tripletta tratta da “Being There” su cui spiccano “I Got You (At the End of the Century)” che diventa un coro di pubblico totale e “Outtasite (Outta Mind)” che è il brano a cui spetta concludere la serata, su cui la band smette di suonare per qualche istante davanti ad un contagioso clapping collettivo mentre Jeff si rivolge al pubblico con “You are so wonderful let’s keep it going” e riprendono poi a suonare in un ultimo fragoroso incedere di chitarre. 

Wilco si congedano con con il pubblico che acclama il loro nome, dopo ben 24 brani raccolti in una setlist compatta e due ore intensissime in cui la voce di Jeff Tweedy non ha mai dato il minimo segno di cedimento, cosi come ogni altro membro della band ha eseguito la propria parte senza sbavature, dimostrando incredibile versatilità e affiatamento. Senza dubbio i sorrisi di una band che suona grandiosamente fino all’ultimo minuto esprimono gratitudine e soddisfazione nel vedere il pubblico cantare ogni singola parola anche dei brani più datati, segnale che non sempre é necessario incendiare le classifiche come one hit wonder per restare impressi nella memoria delle persone, ma la costanza e la ricerca di qualcosa di importante da dire possono risultare ben più duraturi nel tempo.