E’ un disco tormentato l’undicesimo dei The Underground Youth che inaugura il tempo dei bilanci per la band inglese dal 2016 di stanza a Berlino città che si adatta particolarmente bene allo stile del loro post – punk ricco d’influenze, spesso apertamente poetico. Nostalgia è la parola chiave di questi trentacinque minuti, che vedono Craig Dyer accompagnato da Olya Dyer (batteria) Leonard Kaage (chitarra e produzione) e Samira Zahidi (basso).

Credit: Press

Indole cantautoriale ben evidente in “Émilie” e nella title track  con le chitarre acustiche che sottolineano le riflessioni profonde e agrodolci che pervadono ogni nota. Bilanci dicevamo, forse qualche rimpianto ma l’intensità non viene mai meno tra melodie ben orchestrate e chitarre sempre evocative. Fascino dark in “Finite As It Is” e il fantasma degli Smiths che aleggia in “I Thought I Understood”, sorprendente ma forse inevitabile.

Le armonie cupe e acide di “Another Country” e quelle noir “Frame Of Obsession”, la malinconia di “The Allure Of The Light” e “Omsk Lullaby” con la batteria cavernosa, il piano di “Epilogue” gotico e spettrale che riprende il filo di “Interlude” completano un disco sobrio, autunnale, che prova a raccontare lo spaesamento di chi fatica a concepire il presente e si rifugia in un clima ricco di tensione.

Diverso dal mood folk di “The Falling”, l’intento di “Nostalgia’s Glass” è evocare l’atmosfera di “Haunted” e “The Perfect Enemy For God” riuscendo a tratti nell’impresa. Si è preso un bel rischio Craig Dyer dopo “Montage Images Of Lust And Fear” scegliendo di ampliare il pentagramma introducendo momenti più dolci e cadenzati, privilegiando il baritono rispetto ai toni vocali scelti in precedenza.

I The Underground Youth sono e restano una band mitteleuropea e la loro sporca, frammentata, annichilente nostalgia è quella di molti espatriati post Brexit. Maturare restando musicalmente rilevanti non è semplice, Dyer e soci sono sulla strada giusta, quella più difficile.