Credit: Giuseppe Loris Ienco

Si riempie assai lentamente l’Orion di Ciampino, provincia di Roma, per il terzultimo concerto italiano dei Motorpsycho nel 2023. Quando lo spettacolo finalmente inizia, un po’ dopo le nove, la sala è però gremita di fan. Tra il pubblico – composto in larga parte da persone sopra gli anta, alcune delle quali coi figli al seguito – scorgo senza troppe sorprese una maglietta dei Verdena, “eccellenza” nostrana che ha senza ombra di dubbio subito il fascino della band norvegese.

Gli anni trascorrono, l’ età avanza ma la creatura di Bent Sæther e Hans Magnus Ryan gode ancora di ottima salute. Il live è lungo, intenso e strutturato in modo tale da passare in rassegna tutte le epoche e le anime del trio scandinavo. Si parte con un breve set acustico, in linea con le atmosfere dolci e morbide dell’ultimo disco “Yay!”, dal quale sono estratti i due brani di avvio, ovvero “Patterns” e “Dank State”. Gli spettatori si lasciano cullare dalle chitarre di Sæther e Ryan e dagli interventi “gentili” del nuovo batterista Ingvald Vassbø, all’evenienza anche tastierista.

Le nuove canzoni suscitano interesse tra la folla ma gli spiriti iniziano a scaldarsi davvero solo quando i Motorpsycho sfoderano i classiconi degli anni ‘90. Ci si emoziona con “Sunchild”, “Now It’s Time To Skate” e, naturalmente, con la favolosa “Feel”, che chiude in maniera magistrale la parentesi unplugged del concerto ciampinese.

In apertura del set elettrico c’è la nuova “Sentinels”, riarrangiata e “irrobustita” per l’occasione. Una scelta insolita, considerando il fatto che la versione originale del brano è quasi completamente acustica. L’avvio comunque è alquanto soft. Ma è solo un’illusione perché subito i volumi si alzano in maniera impressionante con il mostro progressive rock intitolato “The Bomb-Proof Roll And Beyond (For Arnie Hassle)”. Il concerto si trasforma in una torrida jam session, i Motorpsycho si abbandonano alla psichedelia e, tra sorrisi e sguardi di intesa, si lanciano in infinite cavalcate piene di ritmo e improvvisazione.

Il trio ci dà giù pesante e il rumore più assordante invade la sala dell’Orion. Da sotto il palco mi gusto un’eccellente e intensissima versione hard di “Manmower” ma poi, col timore di una non improbabile rottura del timpano, mi vedo costretto a indietreggiare nelle retrovie per non soccombere alla mattanza grunge/hard rock/progressive dei Motorpsycho che, con una sequenza di grandi brani vecchi e meno vecchi (tra cui “On My Pillow”, “On A Plate”, “The Magpie”, una cover di “Rock Bottom” degli UFO e una “Nothing To Say” attesissima dal pubblico) assorbono tutta l’attenzione e l’energia degli spettatori.

Sul finale i toni si abbassano, la band toglie il piede dall’acceleratore e il concerto si fa più dinamico. I Motorpsycho continuano ad abusare di distorsore ma la stanchezza li porta a dar maggior risalto ai contrasti della loro musica. Lo spettacolo vira fortemente verso il progressive e la psichedelia e, tra i momenti di quiete alla base di “A Pacific Sonata” e “Pills, Powders And Passion Plays” e le lunghe, potentissime scosse elettriche di “The Alchemyst” e della devastante “Hogwash”, si chiude verso la mezzanotte in straordinaria bellezza con un altro classico che manda in visibilio i presenti, ovvero la grungettosa “Plan #1″ (da “Demon Box” del 1993).

Un concerto ricco, corposo e pieno di sorprese da parte degli instancabili Bent Sæther, Hans Magnus Ryan e Ingvald Vassbø. Con la sola forza di chitarra, basso e batteria – e alcuni fondamentali trucchi come loop, mellotron, tastiere vintage ed effetti di ogni sorta – i Motorpsycho riescono davvero a non ripetersi mai e a fare faville su un palco sul quale sembrano divertirsi un mondo. Il vero piacere della musica dal vivo nella sua forma più genuina e spontanea. Senza esagerazioni.