Riflesso autobiografico inteso come summa delle maggiori influenze personali in ambito musicale, “ancora” una volta OPN riesce a fissare, qui in modo meraviglioso, era pre e post digitale, restituendoci un album che fonde elettronica, anche d’avanguardia con la musica contemporanea in modo mirabile e a tratti effervescente.

Credit: Andrew Strasser & Shawn Lovejoy

Lopatin riesce ad essere convincente come non mai nel proporre un universo autonomo fatto di suggestioni ed emozioni totalmente originali e appaganti, dove le esperienze trascorse nel delineare atmosfere cinematiche riescono a confondersi anche all’interno di ogni singola canzone con l’irruenza di un ampio spettro di rock, che va dall’industriale fine 80 90 ad addirittura prog alla Genesis.

Nel suo continuo processo di affinamento virtuoso del metodo compositivo, Lopatin con “Again” ci proietta (in) una rassegna immaginifica di pianeti musicali, dove synth a volte quasi modulari allo stile della nostra Caterina Barbieri, spesso impetuosi , vorticosi, supportati da drumming esasperanti e marziali disegnano un contesto quasi di sprezzo verso la quiete, con canzoni che prendono il largo verso una specie di catarsi emotiva inevitabile, più volte raggiunta, più volte commovente.

Ma non c’è solo uno stupore per la magnitudine sonora che lascia il segno, ci sono anche episodi psych folk tipo “Krumville”, splendida nel suo procedere quasi Sparklehorse, con una melodia a chitarra acustica stordente in tale magma elettonico, o ad esempio “Locrian Midwest” dove il passaggio di una tranquilla ballad oscura viene contrappuntata da bagliori quasi spirituali in cui l’ambient d’annata si manifesta in un desiderio di contatto astrale.

“Again” sorprende e entusiasma canzone dopo canzone, non c’è un solo momento di questo disco che non trasudi il respiro della vita che scorre, pienamente intrisa di contemporaneità finalmente assimilabile in ogni suo angolo, dove ancora una volta riescono a fondersi classicismo e sperimentazione, visioni e speranze fururistiche:” Plalstic antique” termina con una specie di onda sonora, che apre l’alba di un nuovo mondo, il suono che arriva per accogliere in ogni momento un piacevole destino, “Gray Subviolet” invece ci trasporta con la sua partitura d’archi in modo inquieto ed onirico, su superfici sconosciute dove l’elemento analogico compenetra la realtà digitale, cosa che accadde anche in “The Body Trail”, un incubo metropilitano, che precede appunto la vera versione di un “Nightmare paint”.

Volano alte le casse consumate della splendida copertina di “Again” come un’aquilone libero di far volteggiare questa splendida rivisitazione della musica (“Memories of music”), così come la conosciamo, dove quel furbacchione talentuoso di Daniel Lopatin, qui al massimo del suo ego, al massimo della sua sfacciataggine estetica riesce a a forgiare un prisma illusorio, uno desideratissimo giocattolo non solo sonoro ma temporale , che fa dell’illusione primordiale il suo segreto, l’illusione travolgente del piacere disinibito del puro ascolto.