Un disco inatteso e sorprendente il terzo dei Karma, uscito per la sempre ottima VRec quasi vent’anni dopo l’esordio omonimo del 1994 e a diciotto dal secondo album, “Astronotus” del 1996 che confermava la bontà di un progetto che ha attraversato la prima metà degli anni novanta lasciando dietro di sé una traccia importante.

Credit: Barbara Oizmud

Dieci brani tra autobiografia ed epica, che ruotano attorno al concetto del tempo perduto e ritrovato in un mondo fin troppo frenetico, incapace di guardarsi allo specchio. La formazione è quella originale: David Moretti a voce,  chitarre, piano e programmazioni, Andrea Viti a basso e Moog, Diego Besozzi alla batteria, Alessandro Pacho Rossi alle percussioni e Andrea Bacchini alle chitarre con la partecipazione di Ralph Salati nei prossimi concerti.

La psichedelia, il desert rock, il metal hanno un ruolo fondamentale in “K3″ fin dalle prime, distorte e rumorose note della title track che introduce temi e suoni che verranno. Seguono due brani dal sound teso, evocativo, grintoso  come “Neri Relitti” e “Corda Di Parole”, testi poetici e graffianti dove il romanticismo si unisce a un’urgenza sonora cui è difficile resistere, istigata da chitarre e batteria in un mix tagliente e preciso.

“Luce Esatta”, “Abbandonati A Me” e “Atlante” sono canzoni incredibilmente intense,  riflessive ed esplosive,  che indagano quei momenti sospesi tra notte e mattino, luce e ombra dove si allungano ricordi che diventano spesso dolenti senza mai perdere la speranza.

I sette minuti di “Goliath” sono forse la summa dei Karma odierni: inizio soffuso a base di voce e tastiere, un crescendo continuo e costante con quel sound corposo che s’incattivisce per poi tornare melodico nel finale tra rabbia, confusione e commozione. Difficile del resto al giorno d’oggi trovare brani che abbiano la forza propulsiva de “Il Monte  Analogo”, la precisa costruzione armonica di “Ophelia”, la dolorosa profondità di “Eterna” tra archi e vigore.  

I Karma brillano in un ritorno dove l’itinerario conta quanto la destinazione. Un album dedicato “al viaggio in se stessi per non scoprirsi automi” vittime di una natura spesso violenta e violentata, dove si può forse solo trovar rifugio nella letteratura tra Ulisse, Virgilio, Derek Jarman, René Daumal riferimenti che tornano più volte nei testi. Equilibri maturi quelli della band milanese, che con “K3″ crea un disco potente e necessario.