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Buonforte è uno che, da queste parti, è già passato spesso: il talento perugino ha infatti saputo conquistarsi, nel tempo, una fetta piuttosto importante di sostenitori tra pubblico e addetti al settore grazie ad un linguaggio musicale e poetico efficace a creare un ponte tra vecchia e nuova scuola autorale, co-adiuvato da un timbro identitario e ricco di potenzialità espressive.

C’è una costante, nei brani di Buonforte: la caratura di una scrittura che si lascia esaltare dalle venature spesse ed efficaci di un’interpretazione di livello, che non lascia mai spazi a “collassi” di tensione emotiva; Buonforte riesce a tirare su un cantiere in continua costruzione, che procede per saturazioni di elementi giusti e coerenti a far risaltare la parola come elemento sonoro prima ancora che semantico.

“Come mai” è esattamente questo: una ballata solo in apparenza scanzonata e leggera, che in realtà nasconde una profondità abissale in cui la penna di Gabriele prova a tracciare nuove rotte, nuovi centri di gravità permanente. Un desiderio costante di ritrovare sé stessi attraverso la conta dei cocci disseminati, nel tentativo costante di accettare un “addio” senza doverlo trasformare, per paura o per amore, nell’eterno ritorno di un “arrivederci”.