Scott Yoder, già leader dei The Pharmacy, a volte sembra appartenere a un’altra generazione musicale quella di Bowie e dei T – Rex in cui il rock era un terreno tutto da esplorare e correre dei rischi estetici oltre che stilistici diventava la norma non un’eccezione.

Credit: Eleanor Petry

Cambiare, trasformarsi, non essere mai uguali a se stessi, concetti che hanno sempre fatto parte del DNA del musicista, songwriter e performer di Seattle ribaditi anche nell’ultimo disco “Scooter Pie”.

Dodici brani dove a chitarre, basso, organo, batteria si uniscono il violino di Carolyn B. dei Mt Fog e il violoncello di Lori Goldston che affiancano storici collaboratori come Bryant Moore dei The True Loves, in un album dove l’indole garage e psichedelica del buon Scott viene a tratti smussata ma non ammansita, facendo emergere ancor di più un gusto per le melodie molto West Coast dai risvolti piuttosto piacevoli.

Malinconico, intimista, ironico e divertente Yoder trascina nel suo mondo fin dalle prime note di “Half – Lived Phantasy” che ricorda un po’ Lawrence e i suoi Felt, piccolo inno indie che convive piuttosto bene con i toni classici e ritmati di “Sing Your Broken Song”, con ballate come “Sweet Breath Of Love” o “Canopy Of Night” e “No Surprise”.

L’intervento di Goldston e Carolyn B. trasforma brani come “The Guttersnipe”, che insieme alla grintosa, psichedelica “Who Killed The Lights” e a una nostalgica “Cold Shoulder” sono tra i più riusciti di “Scooter Pie”. 

Drunk on melody“, con la spensieratezza e la curiosità dell’infanzia evocata in “Mind Of A Child”, senza la grandeur dei Lemon Twigs ma con altrettanta voglia di mettersi in gioco, Scott Yoder realizza un buon album che omaggia il passato senza tentazioni retrò, con genuina passione.