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L’Officina della Camomilla fa parte di quel tipo di progetti snobbati dalla critica di settore durante il momento più hype della loro carriera, quindi rivalutati in seguito, quasi a bocce ferme, non capita spesso, ma succede che un messaggio non sia compreso fino in fondo al momento, come dire, opportuno.

Erano i tempi in cui Lo Stato Sociale (compagni di etichetta in casa Garrincha del compianto Matteo Romagnoli), passavano da icona underground a pionieri mainstream dell’era indie, inaugurando, se non sbaglio, per primissimi, il forum di Assago (Oggi abituale venue per tanti colleghi).

Tornando ai nostri, non erano così banali o scontati, anzi, pur non nascondendo le sacrosante reference, furono capaci di seguire un percorso originale e di personalità all’interno di un mondo tutto loro, visionario a dir poco, fatto di filastrocche sbilenche e racconti improbabili.

Quindi dopo un paio di album in solitaria del leader Francesco De Leo “La Malanoche” e “Swarovski”, il collettivo si riforma, ritrovando, per altro, il sodale e co-founder Stefano Poletti (videomaker da guinness dei primati), ritornando in pista con un disco nuovo “Dreamcore”, pretesto per dare seguito ad un tour strutturato, dopo la manciata di date estive e le due première esclusive del disco stesso a Milano e a Roma in autunno.

Inaugurano questo nuovo giro di concerti proprio da Brescia, dalla Latteria Molloy, che li ospita.

Venendo al live in sé, il locale non è esaurito, ma c’è un bel colpo d’occhio di ultra fedelissimi, che canteranno dalla prima all’ultima parola, le canzoni radicate del collettivo milanese.

Non tutto è perfetto dal punto di vista sonoro, anche se, pian piano, si va aggiustando nella direzione più ottimale, del resto è una data rompighiaccio, e come tutti i rodaggi, si paga dazio per un pò di ruggine accumulata. Ma come dire? L’ultimo dei problemi, l’attitudine punk della camomilla si sente eccome nella dimensione live, gli arrangiamenti più minuziosi dell’ultimo disco lasciano spazio ad un messaggio sonoro senza fronzoli, bello diretto, che coinvolge il pubblico tra montagne russe umorali, qualche riflessione, ma soprattutto tanto divertimento a colori.

Ci sono tutte le hit del recente passato, insieme ai brani migliori di “Dreamcore”, il loro album più intellettuale, “Woodstock 69″ e l’altro singolo “Leon” la fanno da padrone, e poi quelle canzoni, che hanno lasciato il segno in questo spaccato di generazione, “Agatha Brioche”, “Charlotte”, “Condominio di merda” ovviamente “La tua ragazza non ascolta i Beat Happening” con il divertente refrain di siamo pieni di droga e la conclusiva “Un fiore per coltello” talmente cantata da coprire la voce di De Leo.

Un’ora e 15 di live, divertente e appassionato per una serata in provincia.