I Nouvelle Vague di Marc Collin: ovvero, unire bossa nova da Brasile Anni Cinquanta con la new-wave ed il post-punk degli Ottanta inglesi. Tra le altre cose, ça va sans dire. In pratica, ciò che vent’anni fa poteva sembrare una sorta di azzardo ostinato, oggi, alla prova del quinto album, appare come una solida, solidissima realtà.

Credit: Press

Già. Perché tra le pieghe ovattate del nuovo lavoro dei Nostri, “Should I Stay Or Should I Go?”, si respira un’atmosfera regale, magnificamente ridondante, in cui le scoppiettanti note-rock di Billy Idol (tra gli altri) e l’elettronica d’avanguardia dei Depeche Mode d’annata vengono trasformate in dei brani super-glitterati ma che sembrano nuovi di zecca. Tutto merito del sopraccitato, Marc (e del co-fondatore della band, Olivier Libaux), certo. Ma anche e soprattutto dell’apporto offerto dalla splendida voce della cantante Alonya, incontrata da Collin durante una festa.

E così, quelle che dovrebbero essere delle semplici rivisitazioni musicali – o, più banalmente, delle cover – diventano delle maestose tracce dal retrogusto vintage e dalle sonorità dannatamente accattivanti. “Girls On Film” dei Duran Duran, per esempio, viene riverniciata con delle sfumature sonore che non guasterebbero nell’eventuale soundtrack di un nuovo capitolo della saga di James Bond. Mentre l’epicità originaria di un pezzone come “Shout” (Tears For Fears), trasmuta in uno sfrontato motivetto reggae a cui risulta maledettamente difficile resistere.

Hanno creato un genere i Nouvelle Vague, poco da dire. Basti pensare che persino un brano scanzonatissimo come “You Spin Me Round” dei Dead Or Alive, nella veste disegnata da Alonya e soci, è diventato una sorta di soul-jazz ante litteram da standing ovation multipla e duratura. E cosa dire della (bellissima) title-track se non che molto probabilmente avrebbe ricevuto un plauso da Joe Strummer in persona? Il fascino recondito dei Nouvelle Vague, del resto, sta tutto lì: dietro le quinte di una band che gioca a nascondere le proprie (grandi) perculiarità musicali a favore di una lucentezza pop dal sapore nostalgico.

Epperò, non è tutto oro quello che luccica. Com’è giusto (e fisiolgico) che sia. Alla lunga, infatti, le melodie impeccabili portate in scena in maniera magistrale dal gruppo francese potrebbero risultare sin troppo “sofisticate” alle orecchie di un ascoltatore medio. O, comunque, di un pubblico più “generalista”. Va anche detto, ad onor del vero, che per addentrarsi pienamente tra i meandri di “Should I Stay Or Should I Go?” occorrerebbe una predisposizione piuttosto elastica ad un certo tipo di sound. Quantomeno provarci.

Ciò detto, i Nouvelle Vague hanno confezionato un album che supera di gran lunga la sufficienza e che denota una musicalità fuori dal comune. Vent’anni fa – più o meno – Marc Collin mica se lo aspettava di arrivare al fatidico traguardo del quinto album. La vita, come il mondo delle sette note, è maledettamente imprevedibile.