Tempi duri per chi non ama lo shoegaze o lo ha sempre guardato con sospetto. Il genere sta vivendo una sua nuova età dell’oro, paradossalmente non portata avanti dai nomi storici come Ride o Slowdive (i MBV li diamo dispersi in missione, per ora), che anzi cercano di smarcarsi più o meno con disinvoltura dalle maglie degli anni ’90, ma spesso (non sempre, sia chiaro!) da nuove, nuovissime formazioni composte anche da ragazzi giovani che hanno appreso alla grande la lezione dei tempi che furono.

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Parlando dei Whitelands sarebbe sbagliato etichettarli come “alle prime armi”. Questo “Night-bound Eyes Are Blind To The Day” lo possiamo definire il loro vero e proprio esordio, ma in realtà la band è già attiva dal 2017 (e ha in cascina una discreta serie di pubblicazioni), seppur con diversa formazione: Etienne Quartey-Papafio e soci non hanno certo avuto fretta di mettersi sotto i riflettori in modo deciso, ma ora non è più il momento di muoversi nell’ombra e il fatto che ci sia la Sonic Cathedral di mezzo (e pure il buon Simon Scott a curare il master) dimostra la volontà dei ragazzi di reclamare il loro spazio e le loro (giuste) attenzioni.

Il quartetto londinese è formalmente tanto impeccabile ed evocativo, cercando anche di mostrare una sua personalità, quanto, a tratti, fin troppo scolastico nel riproporre alla perfezione suggestioni, suoni e malinconie proprie del genere.

La parte iniziale, complice la briosa e incalzante “Setting Sun” (posso dire che comunque i nostrani You,Nothing. non avevano nulla da invidiare a un brano simile?), l’iper melodica e affascinante “The Prophet & I” e sopratutto le sognanti carezze, romanticamente malinconiche, di “Tell Me About It” (ospite Dottie dei deary) piazza una serie di brani decisamente belli, cristallini e dall’altissima qualità, che però non sempre viene espressa anche in altri frangenti, in cui la band si muove su territori consolidati in modo sempre piacevole ma meno entusiasmante. Penso ad esempio al forte/piano piuttosto classico di “Cheer” o alle atmosfere dilatate di “Born In Understanding”.

“Chosen Light” potrebbe sembrare un conosciuto andamento dream-pop, ma il lavoro di Jagun Meseorisa alla batteria è pregevole nel vivacizzare, potenziare e rendere personale il tutto, la “slowdiveniana” “Now Here’s The Weather” posta in chiusura fa sicuramente la sua bella figura, sebbene il fantasma di Neil Halstead sia fin troppo ingombrante, mentre la quota “shoegaze puro” è portata in bella vista da “How It Feels” che abbraccia tutti i migliori spunti del genere.

Non un capolavoro, come sento dire in giro da qualcuno, ma un disco solido e comunque meritevole di complimenti.