C’è qualcosa di intrinsecamente magico nel nuovo album dei Pinhdar, “A Sparkle On The Dark Water”. Già. Perché tra le pieghe dorate dell’opera nuova del duo trip-hop/electro composto da Cecilia Miradoli (cantante ed autrice) e Max Tarenzi (chitarrista e producer) si respira un’atmosfera di entusiasmante candore.

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Nei “boschi elettronici” macchiati di shoegaze presenti nell’open-track intitolata – non a caso – “In The Woods”, per esempio, si può evincere tutta quella malinconica poeticità che ha reso i Nostri uno dei nomi più interessanti della scena alternativa internazionale. Poco da dire. Va da sé, naturalmente, che pure “Parallel” – il precedente album in studio (prodotto, tra l’altro, da quel geniaccio di Howie B) del duo di stanza a Milano – avesse già le stimmate di un lavoro omogeneo, variegato, compiuto. Dannatamente accattivante.

Quello dei Pinhdar, infatti, è un universo sonoro fatto di note dal retrogusto sognante e da refrain per nulla scontati e giammai in odore di banalità. Prendete lo splendido giro di basso presente in “Cold River”: cos’altro potrebbe rappresentare se non un tappeto sfavillante su cui far esplodere la bella vocalità della Miradoli? E lo stesso discorso, volendo, lo si potrebbe estendere al beat ipnotico che circonda – come una sorta di mantello glitterato – quel pezzone dalle tinte depechemodiane che risponde al nome di “Little Light”.

È musica patinata quella dei Pinhdar. Nella migliore accezione possibile del termine, ça va sans dire. Del resto, quando si parla di Cecilia Miradoli e Max Terenzi, si parla di due musicisti veri, con i controfiocchi ed i dieci brani che vanno a comporre la tracklist di questo “A Sparkle On The Dark Water”, sono proprio lì a dimostrare che c’è Arte vera sul pianeta Pinhdar. Altroché. Basti pensare al magnetismo spaziale di un brano come “Humans” – per chi scrive, tra i migliori del lotto – ed al suo incedere che è allo stesso tempo robotico e crepuscolare.

E cosa dire di “Frozen Roses” – uno dei singoli estratti sin qui – se non che trasporta l’ascoltatore in un microcosmo fatto di scintillanti angoli sonori i cui spigoli riescono quasi a sfiorare l’immaginifico di un capolavoro del passato come “Disintegration” dei Cure? Ascoltare per credere. Non solo. Per riuscire a gustarsi appieno l’epopea vellutata del nuovo album pubblicato dai Pinhdar, bisogna smarrirsi consapevolmente tra i meandri disincantati di un lavoro che si eleva (sin d’ora) al di sopra della media e che conferma, semmai ce ne fosse stato bisogno, tutte quelle peculiarità che hanno reso i Nostri una delle formazioni italiche dal maggior appeal internazionale.

“Abysses” e, soprattutto, “At The Gates Of Dawn”, concludono in maniera più che dignitosa un disco pezzato di gemme sonore che rendono “A Sparkle On The Dark Water” uno degli album più belli dell’ultimo biennio musicale. Provando a tirare un po’ le somme, dunque, quella dei Pinhdar è una proposta intrisa di alta qualità poetica che ben si sposa con il nome scelto da Cecilia Miradoli e Max Tarenzi per la propria band. Tradotto in soldoni, Pindaro approverebbe.  

E pure noi.